Intervista a Massimiliano Città – “Agatino il guaritore” – Il ramo e la foglia
Abbiamo da poco recensito il romanzo “Agatino il guaritore” di Massimiliano Città edito da Il ramo e la foglia, abbiamo ora la possibilità di scambiare con lui quattro chiacchiere.
Ciao Massimiliano, possiamo darci del tu?
Certamente.
- Cosa ti ha dato lo spunto per questa storia?
La bozza del romanzo viene fuori dall’incontro (o forse sarebbe meglio dire dallo scontro) di molteplici idee che per lungo tempo hanno fatto capolino nei miei pensieri, assillandomi talvolta. Non saprei definire l’ordine col quale si sono presentate, anzi, direi che il disordine è stata la loro caratteristica.
La cesura netta, a mio parere innaturale, tra bene e male. La possibilità di mantenere un pieno controllo delle nostre azioni. E, sopratutto, l’elemento che ha di fatto unificato le diverse tensioni: La condizione di compressione, costrizione che subiamo nel corso dell’esistenza.
Queste meditazioni, spesso involontarie, hanno accompagnato un periodo particolarmente rilevante della mia vita, della vita recente di tutti, a dire il vero. Quei giorni trascorsi in maniera costretta e compressa nelle nostre esistenze, con spazi ridotti, limitati; in alcuni casi ospiti solamente del nostro corpo senza la possibilità di interagire col prossimo. Giorni in cui, reclusi nelle nostre abitazioni, rimanevamo a contare, tenendo tra le dita un pallottoliere astratto, il numero di vite che svaniva, evaporando. L’elenco di morti che il Covid quotidianamente ci aggiornava a reti unificate, e noi, tutti, consapevoli o meno, avvertivamo la sensazione d’essere sospesi tra gli eventi e il dolore, volti e avvolti più dalla paura che dalla naturale iniziativa (speranza) verso il giorno a venire. La condizione di partenza è stata questa. Per uscirne fuori ho provato a raccontare, ma sopratutto a raccontarmi, una storia.
A partire dalla considerazione di quanto sia possibile che un fatto, un avvenimento, schiacci completamente la vita di un uomo e ne stravolga il senso precedente.
- Come ti poni nei confronti della figura del santone (o guru, o guaritore che dir si voglia)?
Agatino è un personaggio dalle molteplici sfumature. Non si erge sulla coralità dei molti presenti nella vicenda come figura definita, né è possibile inquadrarlo in una precisa categoria. Eroe e antieroe della storia al tempo stesso. Sintesi delle contraddizioni, lo considero il punto d’incontro tra le categorie di bene e male che non stanno, né potrebbero stare, mai da una sola parte. Mi sta molto simpatico e costruirlo, anche lasciando ampi margini oscuri, è stata una delle condizioni di divertimento in quel processo di piacevole dolore che è per me la scrittura.
- In generale, la dimensione dello spirito fa parte della tua vita?
Negli ultimi mesi mi sono avvicinato sempre più a certo tipo di filosofia orientale, dove l’aspetto spirituale sta al centro di ogni azione. Anche quest’andare è la sintesi di un percorso che nel corso della vita volevo fare pur non sapendo di preciso che strada intraprendere. Adesso inizio a vederci più chiaro. Mi sono immerso completamente in alcuni testi, in particolare del monaco buddista Thich Naht Han, che trovo splendidi nella loro disarmante semplicità. Senza tralasciare il fascino che emerge dal confronto di alcune visioni tipicamente orientali e i principi teorici della meccanica quantistica che lasciano in molti frangenti sbalorditi.
- Che consigli ti senti di dare a un giovane che voglia cimentarsi con la scrittura creativa?
Dal mio punto di vista credo che la scrittura, in ogni sua possibile accezzione, sia creativa, anche quando si affronta un argomento di cronaca. Ogni elemento che sottostà ad una narrazione presuppone l’osservatore, la creatività di chi racconta. Anche banalmente tenendo una camera per riprendere un momento, nell’istante stesso in cui agiamo e scegliamo di farlo, ecco: in quel dato modo siamo creativi. Un punto da marcare e tenere stretto a discapito di quello che il sovradosaggio tecnologico vorrebbe proporci. Per il resto so di non saper dare consigli a chi intraprende la strada della scrittura, anzi, forse solamente uno e ripetuto: leggere, leggere, leggere.
- Hai qualche abitudine quando scrivi? Prediligi il giorno o la notte?
Questa è una domanda che mi mette a confronto col tempo che passa. Nel senso che prima, sopratutto negli anni universitari, il tempo che dedicavo alla scrittura era notturno perché la gestione della giornata era libera e senza impegni, adesso tutto è cambiato. Mi ritaglio del tempo nei fine settimana, provo ad abbozzare le storie e poi in estate cerco di svilupparle con maggiore continuità. Ma non ho un metodo, procedo a vista. Come una barchetta in balia delle correnti.
- Il tuo romanzo mi ha fatto pensare a qualche novella del Decameron, tu che rapporto hai con i classici?
Mi è stato già detto in un’altra occasione, un attento lettore (anch’egli scrittore) mi ha detto che c’era nella vicenda di Agatino un che di boccaccesco. Sui libri “non faccio prigionieri” leggo indistintamente ogni cosa, saltando generi, epoche, correnti. Ho bisogno di leggere, più della stessa azione dello scrivere. La lettura mi concilia, mi rasserena e mi sostiene. Non ultimo mi corregge, perché ogni pagina che leggo è una pagina di studio.
- C’è un personaggio nel tuo libro, che da lettore, sai che non sopporteresti?
Non saprei individuarne uno in particolare. Anche quelli che ho volutamente disegnato in maniera eccessivamente grottesca mi stanno simpatici, forse il giornalista nella sua mancanza di senso del ridicolo, dico forse. Ma è ben inserito in un meccanismo funzionale.
- Ritieni che la letteratura possa essere impiegata per veicolare messaggi importanti?
Sai, in questi ultimi anni, a margine delle mie letture e di qualche incidentale scrittura, ho messo su una rubrica dal titolo “Cinque domande, uno stile” che parte proprio da questa considerazione. Ho chiesto di volta in volte agli autori e alle autrici, che si sono susseguiti come ospiti, la loro idea di scrittura “politica”, non intesa come manifesto di un pensiero, bensì come rappresentazione di istanze e capacità di incidere nella società. Spesso ho ricevuto considerazioni molto interessanti, altre volte disarmanti, ecco vorrei sottrarmi a quest’ultima possibilità. Posso aggiungere una modesta considerazione. Più dello scrittore è il lettore che ne sancisce la valenza, per quel che ne percepisce e se la lettura stessa lo spinge a considerazioni e, perché no, ad azioni.
- Leggere e scrivere, hanno sempre fatto parte della tua vita? Quanto ti hanno aiutato nel tuo percorso di crescita umana?
Non saprei dirti se la mole di pagine che ho letto abbia concorso a fare di me qualcosa di migliore rispetto alla partenza. La letteratura ha di fatto spinto un po’ più in là il mio orizzonte degli eventi, allontanandomi dal baratro di un buco nero. Mi ha dischiuso al mondo.
- Cosa ti piace leggere?
Come detto in precedenza, sono un onnivoro della lettura. Quando becco uno scrittore che mi piace provo a leggerne ogni cosa, ma non ho preclusioni. Poi, ci sono i preferiti. Ma in questa sorta di elenchi finisci per dimenticare sempre qualcuno. Ne indicherò due perché a mio parere legati alle vicende di Agatino: Garcia Marquez e William Faulkner, ma credimi ce ne sarebbero tantissimi. Anzi un’aggiunta, come in pizzeria: nel preciso momento in cui ti rispondo ha una doppia valenza, per me, l’invito alla lettura di una meravigliosa scrittrice quale Alice Munro è.
- Il libro ha un finale (a parer mio) ambiguo, che sembra aprire la strada a un seguito: sei già all’opera su di esso o, in ogni caso, su qualcosa di nuovo?
Sul finale aperto molti lettori hanno condiviso la tua considerazione, è stato forse un modo inconsapevole per trarmi fuori in definitiva dalla parola fine, che in quanto tale conclude ogni cosa, ma a leggere tra le righe anche in quel caso una fine c’è, come in ogni situazione, giunge irrevocabile. Sulle altre diramazioni della scrittura cerco di cogliere il momento. In parallelo, come accennavo prima, porto avanti un numero incongruo di spunti. Alcuni si spengono sul nascere, altri procedono indomiti nonostante la mia pigrizia e con una sorta di superbia mi spingono a concluderli. Tra questi un paio ci sarebbero, ma così distanti dalle vicende di Agatino che si potrebbero pensare essere scritti da un altro. Anche questo atteggiamento è un rifuggire, una volontà di uscirne. Dalla vicenda, dai personaggi, per inseguirne altri, differenti e distanti.
Ringraziamo Massimiliano Città per la disponibilità, arrivederci a presto sulle pagine de I gufi narranti
Matteo Melis