Intervista a Marco Toninelli: Scenografie impazienti Sillabe Di Sale Editore

Intervista a Marco Toninelli: Scenografie impazienti Sillabe Di Sale Editore

 

Abbiamo da poco recensito la raccolta di racconti di Marco: “Scenografie impazienti” Sillabe Di Sale Editore e abbiamo la possibilità di scambiare con l’autore quattro chiacchiere:

  • Diamo il benvenuto a Marco Toninelli!

 

Ciao a tutti de “I gufi narranti” e grazie per l’opportunità di parlare della mia raccolta di racconti “Scenografie Impazienti”.

 

  • La tua raccolta contiene racconti scritti tra il 2011 è il 2015 li avevi scritti con l’intento di dare alla luce “Scenografie impazienti” oppure?

 

No, assolutamente, sono racconti provenienti da fantasie, sogni, sperimentazioni, ricordi rivisitati, insomma hanno origini generalmente molto diverse tra loro, quindi non possiedono una omogeneità di ispirazione, né tantomeno un filo conduttore che aiuti il lettore e lo conduca per mano attraverso le pagine. Alcuni hanno l’ambizione di disegnare una “chiusura” narrativa, altri sono strutture “aperte”, dei cassetti ancora dischiusi, in attesa dell’intervento dell’operatore.

 

 

  • Ti è mai capitato di iniziare per scrivere un racconto e poi capire che era un ottimo incipit per un romanzo?

 

Si certo, proprio in occasione del mio ultimo romanzo che ho terminato in questi giorni, avevo iniziato a scrivere quello che doveva essere un racconto vagamente ispirato a ricordi della mia infanzia, poi, andando avanti, mi sono reso conto che la storia e i personaggi avevano preso un respiro e un’ambizione che le dimensioni di un racconto non sarebbero mai state in grado di soddisfare. A quel punto il naturale timore di imbarcarsi in una struttura narrativa molto più complessa e impegnativa è scomparso e ho seguito la nave che, intanto, aveva inopinatamente preso già il mare.

Una parola sul pericoloso termine “incipit”. Per me l’incipit di un racconto deve essere profondamente diverso da quello di un romanzo. È, come dire, una questione “genetica”.

L’incipit di un romanzo deve dare il “tono”, un primo accenno del canone che ne regola lo sviluppo, una armonica principale che, pagina dopo pagina, si compone con altre armoniche e con l’inevitabile rumore di fondo.

L’incipit di un racconto non ha questa ambizione, ha un “dress code” informale e può quindi concedersi un attimo di relax.

 

 

  • Puoi definirti una persona impaziente come le Scenografie che danno il titolo alla raccolta?

 

A volte si, sia nella vita di tutti i giorni che nella mia esperienza di scrittore. Tralasciando la vita privata, dove mi affido alla pazienza e alla comprensione di mia moglie, vi confido che qualche volta sono i miei personaggi che insorgono dalle pagine delle mie storie perché ritengono, spesso a ragione, di avere ancora diritto di parola, di dover ancora salire sul palcoscenico perché la loro storia esige una maggior completezza e non può essere trascurata e stracciata dalla mia impazienza di far quadrare velocemente la costruzione narrativa.

 

 

  • Come nasce l’idea per un racconto?

 

Da un sogno, una veglia, un ricordo, una ipotesi di sperimentazione, una storia di fantasia oppure vera (che però io cambio completamente), un quadro, un particolare architettonico, insomma qualsiasi cosa stimoli la mia fantasia e il mio desiderio di “vestire” la realtà, ammesso che solo ciò che sperimentiamo con i nostri sensi abbia effettivamente il corpo e il valore che gli attribuiamo. Io penso che i “mondi” che ciascuno di noi costruisce nella sua mente (e che poi, a volte, trasferisce su carta, tela, marmo, musica, ecc.) abbiano pari dignità.

  • Qual è la tua raccolta di racconti preferita degli scrittori cosiddetti” famosi”?

 

“Finzioni” di Jorge L. Borges. L’ho letto quando avevo sedici anni e mi ha sconvolto, mi ha cambiato al vita, facendomi capire che la letteratura era una componente fondamentale del mio sviluppo e della mia esistenza.

La potenza e la suggestione dei suoi brani/saggi/racconti sono inarrivabili. Non si deve cercare una storia o un amore nel senso classico del termine, lì si racconta di un meta essere umano, della sua ricerca della parola, del nome, della rappresentazione simbolica del significato della esistenza, del nostro essere qui.

Grazie a voi per l’interesse mostrato nel mio lavoro e arrivederci a presto.

Sandra Pauletto

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