Intervista a Luigi Garlando – Vai all’inferno Dante!

Intervista a Luigi Garlando – Vai all’inferno Dante!

inferno

Dopo avere recensito il romanzo per ragazzi “Vai all’inferno Dante!” di Luigi Garlando, abbiamo la possibilità di scambiare con lui quattro chiacchiere.

Ciao Luigi, bentrovato sulle pagine de I Gufi Narranti.

  • Come nasce l’idea di ambientare Dante Alighieri ai giorni nostri per aiutare il protagonista del libro?

 

“Nasce dalla mia simpatia per Dante. Da tempo avevo in mente di trascinarlo in una storia per ragazzi. Finalmente ci sono riuscito. Mi piaceva l’idea che ricambiasse ciò che aveva ricevuto da Virgilio, cioè che questa volta fosse lui ad aiutare qualcuno a uscire da una selva oscura. Un ragazzo, magari”.

 

  • Il tema del bullismo è presente in “Va all’inferno Dante!”, sei mai stato testimone, diretto o indiretto, di bullismo?

 

“Da bambino e da ragazzo non sono mai stato vittima di bullismo e non ricordo episodi particolari che hanno coinvolto miei amici. Ma è un fenomeno contro il quale non si può abbassare la guardia, anche perché internet e i social hanno messo a disposizione ulteriori strumenti per bullizzare e diffamare”.

 

  • Credi che il bullo sia solo una persona con poca cultura?

 

“No, Vasco lo dimostra. Spesso alla radice di un comportamento violento c’è un malessere, magari una solitudine. Combattere il bullismo significa anche cercare di intuire le ragioni di quel malessere; andare incontro al bullo, coinvolgerlo, non isolarlo”.

 

  • Qual era da ragazzo il tuo rapporto scolastico con il sommo poeta?

“Non è stato un amore a prima vista… Al liceo l’ho subito e l’ho sofferto, come tanti. All’università invece è scattata la scintilla. Ho seguito con grande interesse due corsi di filologia dantesca, ho approfondido lo studio del poeta e sono diventato suo seguace. Dopo la laurea in Lettere, Dante mi è sempre rimasto al fianco come un amico discreto. Ogni tanto lo rileggo, ma soprattutto lo celebro in due modi curiosi. Primo: colleziono Divine Commedie in tutte le lingue del mondo. Approfitto dei miei frequenti viaggi da giornalista sportivo e compro traduzioni ovunque: Cina, Corea, Finlandia… Ne ho a casa un sacco. Secondo: scrivo spesso in terzine dantesche. Compongo endecasillabi in rima come fosse il sudoku. Mi diverto tantissimo”.

 

  • Perché, purtroppo per la stragrande maggioranza, Dante (ma non solo lui) è visto come una noia mortale?

 

“Banalmente perché il linguaggio della Divina Commedia non è semplice da comprendere, richiede sforzo, specie nelle parti più filosofiche. Ma conosco insegnanti che sanno renderlo simpatico e vicino ai ragazzi, magari drammatizzando gli episodi più noti ed emozionanti dell’Inferno, oppure raccontanto aspetti particolari del poeta, che non era affatto un vecchio pedante e barboso. Dante era un ragazzo che, a 20, età da rapper, scriveva versi in rima. Aveva il cuore in fiamme, ha partecipato a una battaglia vera rischiando la pelle. Ci è rimasto anche un suo pugnale. E poi era innamorato cotto. Dante viveva di passioni forti e di ideali, come gli adolescenti. Presentato così, il poeta diventa molto meno noioso. In fondo è quello che ho fatto nel mio romanzo”.

 

  • Coinvolgere Dante ai giorni nostri è un impresa audace della quale a mio avviso sei uscito vincitore. Mentre scrivevi non hai temuto mai il giudizio dei dantisti più accaniti che sicuramente sentiranno fastidio nel vedere Dante fuori dalla sua “aurea sacra”?

“Sì, sapevo di correre il rischio. Vittorio Sermonti, che è stato un grande studioso e un popolare lettore di Dante, ha ammonito: ‘Dante non va attualizzato. Sarebbe un errore inutile. E’ già attuale’. Però io ero convinto che valesse la pena portarlo ancora di più verso i ragazzi. L’importante era non ridurlo a una caricatura. Perciò, anche se va allo stadio e sulle scale mobili, il mio Dante è autentico e conserva il pensiero e i sentimenti di quello vero. Neppure il rap è una forzatura. Il rap ha una sua metrica assolutamente analoga a quella della poesia. Come nell’endecasillabo dantesco l’accento può cadere solo su alcune sillabe, la quarta e la sesta in genere, così la rima delle canzoni rap non può cadere a casaccio, ma in corrispondenza del suono delle percussioni. Ecco, una lezione in classe sulle analogie tra rap e poesia, sarebbe interessantissima e, a quel punto, gli studenti considererebbero Dante un po’ meno noiooso”.

 

  • Tra i personaggi tutti ben tratteggiati del tuo libro, trovano una Bice Bandinelli. Forse sbaglio, ma Bice è un’abbreviazione di Beatrice che anche chi di Dante sa poco o niente coglie subito il richiamo. Vuoi ai nostri lettori altri collegamenti con la Commedia o personaggi legati al modo di Dante?

 

“Certo, naturalmente Bice allude a Beatrice. Non potevate sapere invece che Bandinelli è il cognome di mia moglie, fiorentina… I riferimenti alla Commedia sono tanti. Riconoscerli è una specie di gioco, una sfda che lancio al lettore. Quando Vasco si avventa sul panino da McDonald’s, Vasco e Grillo lo prendono in giro con le celebri parole del Conte Ugolino, uno degli episodi più celebri dell’Inferno: “La bocca sollevò dal fiero pasto…” I truffatori Eric e Steven bruciano all’interno di due lingue di fuoco, come Ulisse e Diomede nella bolgia dei consiglieri fraudolenti. Il resto scopritelo da soli…”

 

  • I personaggi di Vai all’ Inferno Dante!  sono comunque ispirati a persone che hai avuto modo di conoscere?

“A parte la tata e suo marito giardiniere, che ho tratteggiato ispirandomi alla nonna e al nonno di mia moglie, gli altri sono tutti personaggi di fantasia. Diciamo che zia Dragomira è un po’ Crudelia e un po’ Morticia”.

 

  • Come abbiamo detto purtroppo Dante non è amato quanto dovrebbe (semmai il contrario). C’è però la tendenza ultimamente di coinvolgere i personaggi del passato in indagini o thriller. Credi che questo possa aiutare ad avvicinare i lettori a questi grandi personaggi o credi che chi è sprovvisto della conoscenza minima sul loro conto rischi di confondere verità storica e finzione?

 

“L’importante, come dicevo prima, è attualizzare con misura e coerenza, cioè non stravolgere il pensiero e il profilo storico del personaggio. Io l’ho fatto anche con Napoleone, che, in “Mister Napoleone”, ho trasformato nell’inventore del gioco del calcio. Non è stata un’operazione gratuita. I biografi dell’Imperatore di Francia hanno raccontato che negli ultimi anni della sua vita, a Sant’Elena, in esilio, sentisse il rimorso per tutti i morti e le guerre che si era lasciato alle spalle nella sua lunga vita militare. Era perciò verosimile che nelle giornate annoiate, sull’isola in mezzo all’oceano, studiasse un gioco di pace da lasciare in eredità alle generazioni future, una specie di parodia della guerra dove non si faceva male nessuno: due eserciti che cercavano di far passare una sfera attraverso un arco di trionfo. Il mio Napoleone è circondato dai generali che lo hanno accompagnato a Sant’Elena e ricorda nei dettagli le battaglie più gloriose che ha combattuto. E’ il Napoleone storico, ritratto fedelmente, non una caricatura. Come non lo è Dante. Ecco, a queste condizioni, si può giocare ad attualizzare un personaggio del passato senza paura. E’ come staccare un quadro impolverato dal muro, ripulirlo e portarlo tra i banchi, a disposizione dei ragazzi. Gli studenti lo sentiranno molto più vicino a loro e si annoieranno di meno. Anche gli insegnanti dovrebbero fare più spesso operazioni del genere, non solo gli scrittori”.

 

David Usilla

 

 

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