Il guaritore ferito di Francesco Boer

Lo sciamano è un mediatore fra due mondi: una scala fra la terra ed il cielo, un ponte fra la vita e la morte, un varco che collega i vortici dell’inconscio con le certezze della coscienza.

Per riuscire a viaggiare tra i due lati dell’esistenza occorre una conoscenza in prima persona dell’aldilà. Nelle varie incarnazioni storiche del fenomeno dello sciamanesimo, è ricorrente un tema molto interessante al riguardo: l’iniziazione del futuro sciamano è subordinata all’esperienza personale di una crisi.

La persona destinata a diventare sciamano è in genere diversa dagli altri: la sua salute fisica e mentale è fragile, è spesso preda d’attacchi epilettici, svenimenti e sogni sconvolgenti; probabilmente al giorno d’oggi verrebbe definito semplicemente come psicopatico, e trattato di conseguenza. In altri casi la crisi irrompe invece improvvisamente, in maniera inaspettata ed esplosiva.

E’ facile – e molti studiosi del passato lo hanno fatto – cadere nel grossolano errore di considerare lo sciamanesimo in sé come la manifestazione d’una malattia mentale!

Le dinamiche infatti sono molto simili. Nella psicosi viene a dissolversi il confine che teneva al sicuro la luce della coscienza dalla notte dell’inconscio; la luce vi affoga, vi si perde, vi si spegne. Ben diverso è il caso dello sciamano, ed è una differenza importantissima. Tramite l’iniziazione, la coscienza riesce a riemergere da quell’oscuro regno dei morti in cui era caduta, e a ritornare trasformata nel nostro mondo, portando con sé la ricchezza delle terre dell’altro lato: tanto conoscenza delle vie dell’aldilà quanto potere sugli spiriti che vi abitano.

sciamano

Il sistema tradizionale dello sciamanesimo è dunque un sistema per controllare la devastante energia degli spiriti, energia che sarebbe morte, malattia e follia se lasciata incontrollata. Ma senza l’esperienza diretta di tale energia, lo sciamanesimo non sarebbe che una serie di rituali privi di carburante.

Si può quindi ribaltare il punto di vista; non è lo sciamano ad essere psicopatico, ma, nelle parole dello studioso di religioni Mircea Eliade, è l’esatto opposto: “il malato mentale ci si palesa come un mistico mancato”.

Qualcuno potrebbe comunque storcere il naso al vedere termini psicologici impiegati per definire fenomeni spirituali; ma alla fin fine si tratta di diverse parole per avvicinare da lati diversi i medesimi concetti inafferrabili. Possiamo parlare di regno dei morti o di inconscio, riferendoci alla stessa cosa; ma in entrambi i casi saremo distanti da una comprensione dell’oggetto del discorso! Le parole sono potenti mezzi di conoscenza, ma non conoscenza in sé; possono essere una via, ma non sono di certo la meta.

Il potere curativo dello sciamano sta proprio in questo: egli può sanare l’anima degli altri solo perché ha provato su di sé le ferite spirituali che essi stanno soffrendo, e ne porta ancora la cicatrice.

Il tema del guaritore ferito è un archetipo diffusissimo. L’esempio più conosciuto è senza dubbio il concetto cardine del cristianesimo: Cristo che si fa uomo per conoscere la debolezza umana, Gesù che muore per sconfiggere la morte.

Anche in psicoterapia il tema del guaritore ferito è importantissimo. Come si può curare qualcosa che non si conosce? Come si può aiutare qualcuno senza la compassione?

Lo psicologo C. G. Jung fece dell’archetipo del guaritore ferito uno dei fulcri della sua psicologia analitica. Non è un caso che lo stesso Jung fece esperienza d’una crisi psichica molto simile a quelle del candidato sciamano.

Nel 1913 Jung venne tormentato da una serie di sogni e visioni angoscianti di crescente intensità; lui stesso ammise di essere minacciato da una psicosi. Ma invece di soccombere alle ondate dell’inconscio, egli decise di confrontarsi con esso, non reprimendolo ma intraprendendo un dialogo. Jung riportò poi il tutto, rielaborandolo ulteriormente, nel suo “Libro rosso”, un imponente manoscritto calligrafico riccamente illustrato da lui stesso. Così facendo egli riuscì a riorganizzare i contenuti della sua crisi, in maniera da armonizzarli e riportarli nel nostro mondo; ma soprattutto, l’esperienza gli diede un prezioso punto di vista interno della psiche umana, che gli permise di incorporare nel suo sistema medico alcune importantissime intuizioni che altrimenti gli sarebbero rimaste precluse.

Uno sciamano che non abbia provato su di sé l’esperienza della morte, della follia e della malattia non può dirsi veramente tale! La sua tuttalpiù sarà un’iniziazione all’acqua di rose, e i suoi poteri saranno di conseguenza flebili – uno sciamanesimo diluito!

Va da sé che la crisi non è priva di pericoli: per una persona che ritorna al nostro mondo, ce ne sono molti, troppi che rimangono sperduti nell’aldilà. E’ il caso per esempio del magistrato tedesco Daniel Paul Schreber, che nei primi anni del ventesimo secolo fu colpito da una violenta forma di psicosi delirante dal pronunciato connotato mistico. Egli cercò con sforzi sovraumani di riorganizzare la sua psicosi, incasellandola in un complesso ed interessantissimo sistema teologico personale; la sua impresa è raccontata nella sua autobiografia “Memorie di un malato di nervi”.

Tuttavia la società dell’epoca non era certo pronta ad accettare le sue convinzioni! Chissà, se egli fosse nato in un’altra era o in un altro luogo avrebbe potuto essere un profeta, o forse anche un guaritore d’anime!

Insomma, la via che porta a diventare sciamani non è aperta a tutti, ed anche chi vi è predestinato spesso non riesce a percorrerla fino in fondo. D’altronde niente è gratuito, e non si conseguono risultati se non si è disposti a pagare il prezzo del rischio! Non si guardi con invidia allo sciamano, desiderando di avere i suoi poteri, ma scordando cos’ha dovuto passare per ottenerli; al contrario, i tormenti della vera iniziazione sono talmente crudeli che spesso è una fortuna non essere un predestinato!

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