Il delitto Pasolini. L’omicidio pt 4 scritto da Alberto Zanini

Il delitto Pasolini. l’omicidio pt 4 scritto da Alberto Zanini

 

Il 2 febbraio 1976 inizia il dibattimento.

Vengono fatte tre perizie: dai Pm, dalla difesa e da parte civile della famiglia Pasolini.

Il professore Faustino Durante viene incaricato dall’avvocato, della famiglia Pasolini, Nino Marazzita di eseguire la perizia medico legale.

Pasolini è stato, presumibilmente tirato fuori dall’auto e percosso violentemente sul capo con i paletti di legno ritrovati, ma il perito non esclude che siano stati usati altri corpi contundenti, procurandogli un copioso sanguinamento.

Durante ritiene che la camicia inzuppata di sangue è stata usata dalla vittima per tamponare la ferita alla testa.

In un secondo momento Pasolini ha subito violenti colpi ai testicoli e solamente alla fine è stata usata la tavoletta di legno di piatto e anche di taglio.

Faustino Durante esclude che Pelosi possa aver compiuto il pestaggio da solo in quanto presenta solo un paio di piccole macchie ematiche, una sul polsino e l’altra sui pantaloni.

Secondo la perizia la coppa dell’olio dell’Alfa Romeo di Pasolini non presenta nessuna traccia di strusciature o di urti e neanche il terminale della marmitta riporta segni compatibili con il terreno dell’idroscalo pieno di buche.

Pelosi è rinviato a giudizio il 10 dicembre e il 26 aprile del 1976 viene depositata la prima sentenza di condanna a nove anni e sette mesi e dieci giorni per omicidio volontario, furto aggravato e atti osceni.

Il magistrato Alfredo Carlo Moro, fratello del presidente della DC Aldo Moro, sottolinea, altresì, che “quella notte all’Idroscalo Pelosi non era solo”.

Ma la Procura Generale di Roma, che è a capo di tutti i Pubblici Ministeri, si rifiuta di indagare per verificare la presenza di altre persone all’idroscalo.

Molti sospettano che questo rifiuto serva a proteggere eventuali mandanti.

Il secondo processo è velocissimo e dura solo quattro giorni. La Corte d’appello non ritiene importante cercare eventuali complici di Pelosi, come invece aveva sottolineato il magistrato Alfredo Carlo Moro e il 4 dicembre la sentenza di secondo grado conferma la condanna per omicidio, ma assolve il ragazzo dall’accusa di furto ed atti osceni, escludendo anche la presenza di altra gente.

Con questa decisione la Procura Generale si fa portavoce di un desiderio dei poteri forti.

Infine il 26 aprile del 1979 la Cassazione conferma definitivamente la condanna.

Pino Pelosi

Il delitto in pratica viene archiviato come una semplice questione tra omosessuali.

Nel maggio del 1987 il sostituto procuratore generale della Corte d’Appello, Antonio Listro, riapre l’indagine sulla morte di Pasolini.

Nel 1995 nuova riapertura delle indagini in seguito alla dichiarazione del carabiniere Renzo Sansone.

Nel 1982 a Pelosi viene concessa la semilibertà, l’anno dopo la libertà condizionata.

Negli anni a seguire Pelosi entra ed usce dal carcere per varie rapine e per spaccio, finché nel 2009 diventa un uomo definitivamente libero.

Il 7 maggio 2005 Pelosi accetta di partecipare alla trasmissione televisiva “Ombre sul giallo” dietro pagamento di 8 mila euro lordi.

Pino-Pelosi-e-Franca-Leosini

L’ex ragazzo di borgata rilascia una intervista alla giornalista Franca Leosini ritrattando la confessione di trent’anni prima.

Il racconto ricalca quello del 1975, tranne nel particolare che quella notte non fu lui ad uccidere Pasolini.

Dopo essersi appartati, improvvisamente, arriva una Fiat 1500 targata CT, dalla quale scendono tre uomini, tra cui uno alto con la barba nera è una spiccata pronuncia meridionale, che tirano fuori dalla macchina Pasolini e lo massacrano di botte urlando “Frocio comunista”.

Dopo essere stato minacciato di morte se avesse parlato Pelosi, alla guida dell’Alfa Romeo, scappa passando involontariamente sul corpo di Pasolini.

Questa è una nuova verità e non sarà neanche l’ultima.

Comunque è la conferma della tesi di chi sostiene che Pasolini sia stato aggredito da più persone e non solo da “Pino la Rana”, ed infatti gli avvocati della famiglia Pasolini, Guido Calvi e Nino Marazzita, chiedono alla Procura di Roma di riaprire il caso, ricordando che trent’anni prima un ex appuntato dei carabinieri dichiarò che quella sera all’idroscalo Pelosi non era solo. La richiesta viene accettata, salvo poi richiuderla 5 mesi dopo chiedendo l’archiviazione dell’indagine.

Pelosi nel 2009, in una intervista rilasciata ai giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, cambia per l’ennesima volta versione. Quella notte all’idroscalo si presentano i fratelli Borsellino su una moto Gilera, una Fiat 1500 con tre persone a bordo e una Alfa Gt simile a quella del poeta guidata da uno che rimane a bordo senza mai scendere.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

In base a queste nuove rivelazioni risulta chiaro che Pelosi venne usato come esca e che in seguito venne gestito opportunamente. Sacrificato sull’altare del complotto, il ragazzo scelto presumibilmente perché all’epoca era minorenne fu ritenuto facilmente manovrabile, ma Pelosi dimostrò nel tempo di saper anche mantenere un riserbo assoluto.

Nel 2008 l’avvocato Stefano Maccioni conosce la criminologa Simona Ruffini che si occupa dei “cold case”, i cosiddetti casi irrisolti. Insieme decidono di fare luce sull’omicidio Pasolini, che in verità di ombre ne ha sempre avute molte fin dal lontano 1975.

Simona Ruffini criminologa

Iniziano una scrupolosa ricerca di documenti e atti di tribunale, senza dimenticare di visionare filmati d’epoca.

Nel 2009 ottengono l’autorizzazione dal Tribunale dei minorenni di Roma di poter visionare gli atti inerenti ai tre processi nei confronti di Pelosi.

Maccioni e Ruffini conoscono durante la loro ricerca Silvio Parrello detto Er Pecetto, un poeta e pittore romano nato nel 1943.

Silvio Parrello- foto di Grazia Gasparro-Massimo Mancini

Nel 1950 Pasolini arriva a Roma con sua madre Susanna Colussi. Le condizioni economiche sono modestissime e i due vanno a vivere nella borgata Donna Olimpia. Pasolini da lezioni private a ragazzi bisognosi e sua madre fa le pulizie nei palazzi vicini. Nel tempo libero gioca a pallone con i ragazzini del quartiere.

Pierpaolo Pasolini nella sua abitazione con la madre Susanna Colussi

Silvio Parrello è uno di questi ragazzini.

Tra i due nasce una grande amicizia e quando lo scrittore scrive “Ragazzi di vita” decide di chiamare un personaggio del romanzo: “Er Pecetto” ispirandosi al ragazzino.

Dopo la morte del grande intellettuale Parrello ha cercato per tanti anni la verità su quel delitto inspiegabile, raccogliendo testimonianze e documenti.

Silvio da ragazzino era in classe con Antonio Pinna, ed entrambi conoscevano bene Pier Paolo Pasolini.

Pinna crescendo diventa un meccanico oltre che un abilissimo pilota, ma prende una strada equivoca, diventando di fatto l’autista del capo del clan dei Marsigliesi Jacques Berenguer.

Nel 1975 i rapporti tra Pasolini e Pinna si intensificano perché lo scrittore cerca di avere, dal suo amico meccanico, notizie in merito alle infiltrazioni della criminalità organizzata tra le fila delle Brigate Rosse.

Parrello molti anni dopo, siamo nei primi anni del 2000, viene casualmente a sapere che è stato Pinna a sormontare con la sua auto Alfa Romeo Gt il corpo di Pasolini uccidendolo e danneggiando la coppa dell’olio e l’indomani a portare l’auto dal carrozziere per farla riparare.

Parrello incredulo si mette alla ricerca del carrozziere Marcello Sperati, che in effetti conferma di aver visto Pinna, ma precisa di essersi rifiutato di riparare l’Alfa Romeo perché, oltre all’ammaccatura sul parafango anteriore destro, erano visibili tracce di sangue che lo insospettirono.

Pinna allora va da un altro carrozziere, tale Luciano Ciancabilla, che fa la riparazione senza problemi.

Antonio Pinna comunque il 16 febbraio 1976 sparisce e non lascia tracce. E’ lo stesso giorno che i fratelli Borsellino vengono convocati dal Tribunale dei Minori in seguito alle dichiarazioni del carabiniere Sansone. Ma la dichiarazione di estraneità ai fatti contestati basteranno per non essere incriminati.

L’Alfa Romeo Gt 1750, color amaranto, viene ritrovata il 16 aprile 1976 chiusa nel parcheggio dell’aeroporto di Fiumicino.

Pinna in realtà non risulta avesse preso nessun aereo.

Dopo queste nuove rivelazioni Maccioni e Ruffini ottengo la riapertura delle indagini.

Parrello viene convocato nel 2010 dal magistrato Francesco Minisci, che si attiva chiedendo la documentazione di Antonio Pinna.

In un rapporto della polizia, l’ex autista di Jacques Berenguer risulta morto il 16 novembre 1976, ma paradossalmente, lo stesso Pinna, che risulta deceduto, sarebbe stato fermato per guida con la patente scaduta il 18 febbraio 1978.

Ancora più sorprendente è che il processo, per guida senza patente, è andato avanti per 8 anni fino alla sentenza della Cassazione.

Un morto che forse non era morto?

Parrello un giorno riceve la visita di Antonio Pinna junior, nipote di Antonio Pinna, misteriosamente scomparso nel 1976 da Roma. Il giovane dichiara che lo zio vive lontano dall’Italia e gode di buona salute.

Antonio junior conferma che quella terribile notte, all’Idroscalo, lo zio era presente, ma che in realtà alla guida della sua Alfa Romeo amaranto c’era Johnny lo zingaro e che l’agguato era stato organizzato perché Pasolini era in possesso di documenti pericolosi per molta gente, compresa anche la Cia.

In effetti un giorno Pasolini confida a Dario Bellezza, poeta, amico e segretario per qualche tempo, di essere entrato in possesso di documenti molto compromettenti che riguardano un potente politico della DC molto vicino ai neofascisti, ai servizi segreti, alla polizia e all’organizzazione Gladio.

I documenti erano talmente compromettenti che il senatore democristiano Graziano Verzotto, presidente dell’Ems (Ente minerario siciliano) commentò che il dossier andava assolutamente recuperato e chiunque lo avesse letto andava eliminato.

Pasolini
Graziano Verzotto

Alla fine fu proprio così.

Qualche tempo dopo la morte dello scrittore, sua cugina Graziella Chiarcossi, in un colloquio telefonico con il cugino Guido Mazzon raccontò di aver subito un furto di gioielli e stranamente anche di documenti dallo studio di Pasolini. Infatti non rimane traccia né del famoso “Appunto 21”, capitolo mancante dal libro che Pasolini stava scrivendo, né dello scottante dossier.

Nel 2010 Guido Mazzon, chiede di riaprire le indagini e di fare le analisi del Dna sugli abiti della vittima e di Pelosi.

Nel maggio del 2010 nei laboratori della Sezione di Biologia del Ris dei Carabinieri di Roma viene effettuato l’esame del Dna sui reperti che si trovano nel Museo Criminale di Roma.

Vengono individuati almeno 5 profili genetici diversi da quelli di Pasolini e di Pelosi, ma il Gip li definisce “non attribuibili” e quindi archivia, per l’ennesima volta, l’indagine.

L’esame del Dna di Giuseppe Mastini è stato fatto su un mozzicone di sigaretta che Johnny lo zingaro avrebbe fumato (sic) anni prima in carcere. Naturalmente non è stata riscontrata nessuna corrispondenza con le tracce del famoso plantare.

Nel 2011 Pelosi decide di scrivere: “Io so…come hanno ucciso Pasolini” in collaborazione con l’avvocato Alessandro Olivieri e il regista Federico Bruno. Ennesima versione dei fatti accaduti il 2 novembre 1975.

Rispetto alle precedenti dichiarazioni c’è l’ammissione di aver conosciuto Pasolini quattro mesi prima e definendo il poeta “un gentiluomo”, e per la prima volta viene ammessa la presenza di un’altra Alfa Romeo Gt simile a quella di Pasolini.

Pelosi ormai per ogni intervista pretende di essere pagato e tutte le sue dichiarazioni lasciato parecchi dubbi.

Nel 2014, davanti al Pm Francesco Minisci, Pelosi arricchisce di particolari il racconto della notte all’Idroscalo. Pasolini fu attirato all’Idroscalo con la scusa di restituirgli le bobine rubate del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, ma in realtà fu una imboscata tesa dai fratelli Borsellino e una terza persona, che però l’ex “ragazzo di vita” non menziona. Alla fine del violento pestaggio, continua Pelosi nella sua deposizione, un’altra Alfa Gt passò sul corpo della vittima uccidendolo.

I fratelli Borsellino chiamati in causa da Pino la Rana nel frattempo sono morti entrambi di Aids negli anni novanta.

Alla luce di queste nuove rivelazioni, l’avvocato della famiglia Pasolini, Nino Marazzita, chiede la riapertura dell’inchiesta.

Il 25 maggio 2015 la Procura di Roma archivia per l’ennesima volta il caso Pasolini.

Il 25 ottobre 2016 la Procura di Roma si rifiuta di riaprire le indagini sull’omicidio Pasolini su richiesta dell’avvocato Stefano Maccioni in seguito al ritrovamento di nuovo materiale di indagine.

Fine quarta parte

 

Alberto Zanini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.