I vasi canopi e il culto dei morti in Egitto – Approfondimento di Sandra Pauletto

I vasi canopi e il culto dei morti in Egitto – Approfondimento di Sandra Pauletto

Il culto dei morti è da sempre una delle attività più celebrate dagli uomini. In questo articolo approfondiremo l’arte funeraria dei vasi canopi.

I vasi canopi venivano utilizzati per scopi diversi dagli etruschi e dagli egizi. I più noti restano comunque quelli egizi, probabilmente perché molto più famoso e affascinante è il loro culto dei morti con la pratica dell’imbalsamazione. Noi ci occuperemo dei loro vasi canopi.

L’idea dell’imbalsamazione negli egizi pare sia sorta un po’ per caso. Nell’arco di tempo che va dal 4500 al 3000 a.C., in quello che viene chiamato periodo predinastico i corpi dei defunti venivano sepolti semplicemente sotto la sabbia. Si scavavano delle fosse  dentro le quali si poneva la salma e quanto si riteneva necessario per il suo viaggio nell’aldilà.

Il corpo veniva posto in posizione fetale, quasi tornasse alla madre terra, come nel ventre materno. Le condizioni climatiche e il contatto con la sabbia rovente permettevano al corpo di conservarsi decorosamente.

Nel tempo il culto dei morti cambiò e si passò dalla sepoltura a contatto diretto con la sabbia alla struttura funeraria monumentale: piramidi e sarcofaghi. Questo cambiamento però non permetteva più al corpo di conservarsi in maniera naturale senza l’intervento dell’uomo e si cercò quindi un modo per riuscire a salvarne l’integrità

Procedura che divenne pressoché perfetta appena nel periodo che viene chiamato del “nuovo regno” che va dal 1567 al 1085 a.C. e che ovviamente venne utilizzata esclusivamente per i faraoni, o per chi deteneva ricchezza e potere.

Sia per motivi religiosi, che per utilità pratica di preservare il corpo della futura mummia, alcuni degli organi interni  del defunto venivano estratti e sistemati vicino all’interno di contenitori, affinché nell’aldilà avesse tutti “i pezzi” per ricomporsi. Interessante sottolineare che il cuore veniva lasciato al suo posto e per un motivo ben preciso.

Il passaggio nell’aldilà non era scontato. Se la persona in vita  non si era comportata secondo una serie di precetti simili ai nostri dieci comandamenti, ma più numerosi, finiva nelle fauci della grande “divoratrice”.

I comandamenti  nell’ immaginario viaggio ultraterreno venivano recitati dal defunto come una dichiarazione di innocenza davanti al dio, riportiamo in elenco:

  • Non ho commesso iniquità contro gli uomini;
  • Non ho maltrattato i sottoposti;
  • Non ho commesso peccati contro la verità:
  • Non ho cercato di conoscere quel che non si deve;
  • Non ho commesso del male;
  • Non ho bestemmiato dio;
  • Non ho impoverito un uomo dei suoi beni;
  • Non ho fatto ciò che è vergognoso agli dei;
  • Non ho calunniato uno schiavo presso il padrone;
  • Non ho afflitto nessuno;
  • Non ho affamato;
  • Non ho fatto piangere nessuno;
  • Non ho ucciso;
  • Non ho fatto uccidere;
  • Non ho recato dolore a nessuno;
  • Non ho rubato le offerte alimentari ai templi;
  • Non ho insudiciato il pane degli dei;
  • Non ho fornicato nei luoghi sacri al dio della mia città;
  • Non sono stato pederasta;
  • Non ho barato sui terreni;
  • Non ho alterato il peso della bilancia;
  • Non ho privato del pascolo al bestiame;
  • Non ho tolto il latte dalla bocca ai bambini;
  • Non ho teso trappole agli uccelli nel prato degli dei;
  • Non ho pescato pesci nei loro stagni;
  • Non ho trattenuto l’acqua al momento dell’inondazione;
  • Non ho opposto una diga all’acqua corrente;
  • Non ho spento un fuoco quando doveva bruciare;
  • Non ho trascurato i giorni delle offerte della carne;
  • Non ho ostacolato l’uscita di un dio in processione;

Pare subito chiaro che se tutti avevano seguito alla lettera i precetti, gli egiziani sarebbero stati un popolo di santi e benefattori.

In tutti i casi questi erano nella tradizione funeraria, i punti che se rispettati permettevano al defunto di raggiungere l’aldilà, ossia il regno di Osiride.

In sostanza una volta fatta la “dichiarazione d’innocenza”, avveniva la pesatura del cuore del defunto, passaggio obbligatorio e fondamentale, per questo il cuore non veniva mai estratto dal corpo, altrimenti si sarebbe precluso il passaggio al regno di Osiride.

La pesatura del cuore, l’avrete vista tutti in mille immagini. In una bilancia a due piatti veniva posto da un lato una piuma dall’altra il cuore. Se la bilancia fosse restata perfettamente in equilibrio, al morto si sarebbe concesso di presentarsi al cospetto di dio dell’oltretomba per il giudizio definitivo. Se la bilancia avesse pesato di più dalla parte del cuore, sigificava  che l’anima non era pura.

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In questo caso sarebbe intervenuta quindi la “Grande Divoratrice”, una divinità mostruosa dall’aspetto di leonessa che si divorava il malcapitato. Il cuore quindi, per il motivo descritto, veniva lasciato nel corpo.

Altra sorte spettava agli organi meno fondamentali, i quali venivano estratti,  sottoposti al processo di mummificazione e riposti in appositi contenitori chiamati vasi canopi.

I vasi canopi o canopici sono sempre e solo quattro, a seconda del periodo in cui sono stati fatti sono di materiale diverso. Si possono trovare vasi in pietra o legno se sono quelli risalenti ad un periodo più antico. Relativamente più recenti sono quelli fatti di alabastro o in terra smaltata.

I vasi canopi sono riconoscibili, dal comune vasellame, in quanto il coperchio del vaso, la cui forma allungata ricorda quella che anche oggi si usa per contenere le ceneri del defunto, cambiava a seconda del suo contenuto.

La regola religiosa e funeraria prevedeva che sul coperchio di ogni vaso ci fosse rappresentato uno dei figli di Horo (Horus), perché secondo la credenza erano presenti all’imbalsamazione e avevano il compito di proteggere ognuno una parte specifica del corpo:

  • Il vaso di Amset, riconoscibile per la testa umana e contiene il fegato;
  • Il vaso di Hapi ha la testa di un babbuino e contiene i polmoni;
  • Il vaso di Duamutef ha la testa dello sciacallo e contiene lo stomaco;
  • Il vaso di Qebehsenuf ha la testa di falco e contiene gli intestini;

Ma non basta, a ciascuno di essi secondo la tradizione, era connesso ad un punto cardinale e ad una dea

Amset, era legato alla dea Iside ed indicava il sud.

Hapi era connesso con la dea Mephtys e indicava l’opposto cioè il nord.

Qebehsenuf era connesso con la dea Selket e indicava l’ovest.

Duamutef era connesso alla dea Neith e indicava l’est.

I vasi canopi venivano riposti il più vicino possibile al sarcofago, in modo che il corpo fosse completo in ogni sua parte, ad eccezione del cervello che veniva buttato via.

vasi canopi

Una rara variazione sulla tradizione dei vasi canopi è stata rinvenuta all’interno della tomba di Tutankhamon, in cui fu rinvenuta quella che venne chiamata la cassa canopica: una cassa di alabastro divisa in quattro compartimenti il cui coperchio, fuori dalla tradizione,non raffigura uno dei quattro figli di Horo, ma sempre il ritratto del giovane re.

Nei quattro spazi, in cui era divisa la cassa era riposto un piccolo sarcofago d’oro, sul cui coperchio erano incise le formule per i quattro figli di Horo, mentre le dee di riferimento erano scolpite nell’alabastro sui quattro angoli nella cassa.

I vasi canopi quindi non son altro che urne funerarie specifiche per gli organi interni che dovevano necessariamente essere estratti per evitare che potessero marcire all’interno del corpo della mummia. Per chi volesse vederli, ne segnaliamo la presenza certa in Italia, oltre che al Museo Egizio di Torino, dove è abbastranza logico ci siano, anche presso il museo di Storia e Arte di Trieste.

 

Sandra Pauletto

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