Hermann Hesse – Il lupo della steppa – Recensione di Eloisa Ticozzi

Pubblicato a Berlino nel 1927, Il lupo della steppa viene composto da Hermann Hesse in sei settimane di lavoro febbrile, tra il dicembre 1926 e il gennaio 1927.

Harry Haller non è un uomo come molti altri: è un lupo della steppa. In lui risiedono due anime, una di lupo, quindi antiborghese, critica verso la società, selvatica, e una umana, quindi borghese e intenta a costruire una vita quotidiana e sicura.

In verità non si sente borghese, tuttavia conserva un conto in banca e frequenta salotti di gente che afferma la necessità di armarsi.

Nella persona però ci sono diverse anime che contribuiscono a creare la personalità, non solo due come nel lupo, ogni singola anima è un apporto diverso e stratificato del carattere.

Si vedrà che ogni individuo è costituito da tante parti e quando prevale una, questa è dominante rispetto alle altre.

Come in Uno, nessuno, centomila di Pirandello, anche in questo libro si esplorano le diverse componenti che vivificano l’animo umano, ognuna preziosa per la personalità complessiva.

Il protagonista vive in perenne conflitto fino a quando non conosce una donna, che lui chiama Erminia, rifacendosi all’amico di un tempo Ermanno. In lei si sposano l’uomo e la donna, il piacere e la saggezza, in lei risiede “l’ermafrodita puro”, appunto dato dall’accostamento con l’amico di un tempo, Ermanno.

Erminia lo capisce meglio di qualsiasi altro, donna o uomo, e lo introduce alla conoscenza di un’altra donna, Maria, che diventerà sua amante.

Il protagonista sente che ha dedicato la sua vita allo studio e alla conoscenza di filosofia e arte, ma poco tempo alla conoscenza dell’amore e del sesso. Si appresta quindi a rimediare, studia anche ballo grazie ad Erminia che lo segue in questa nuova dimensione e scoperta di sé.

Si potrebbe pensare che Hesse voglia approfondire le due vie per arrivare all’Assoluto, la via della mano destra, l’ascetismo e la religione, e la via della mano sinistra, il piacere e il sesso: entrambi modi opposti che però possono raggiungere lo stesso scopo esoterico-spirituale.

Nell’ultima parte del libro, parte molto importante, Haller viene introdotto al teatro magico, dove rivive, sottoforma di visioni, degli avvenimenti: con un suo amico di giovinezza fa esperienza della caccia alle automobili (sparano senza motivo su automobili che scorrono), poi vede un lupo e un uomo che alternano le parti padrone-cane e poi ancora vive un dialogo con Mozart e con altri geni nella sua immaginazione.

Nel teatro magico, giocando, si stimolano la visione e l’ironia, qualità innegabili per sopravvivere alla vita e alle sue tragedie.

L’autore ricorda nel libro, l’idealismo magico di Novalis e di Evola, vale a dire l’io visto come potenza e creatrice indiscussa: queste posizioni vengono svelate nei discorsi fra Erminia e Haller.

Nel libro si parla appunto della personalità, come qualcosa di scisso, non sempre amalgamabile e armonioso, da cui possono nascere conflitti. Haller è una persona in cui il lupo ha preso poi il sopravvento sull’uomo civilizzato e borghese, ma questo porterà poi alla sua evoluzione, a un cammino verso una vita libera e appagata.

Il romanzo è stato letto anche come un capolavoro espressionista: la rivolta dell’uomo che ha abdicato la natura per dedicarsi alla civilizzazione e alla società.

Eloisa Ticozzi

 

 

 

 

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