Dune (2021) – Lo stile “post tutto” di Villeneuve al servizio di Herbert.

Dune (2021)

Anno: 2021

Titolo originale: Dune: Part One

Paese di produzione: USA, Ungheria, Canada

Genere: fantascienza

Regia: Denis Villeneuve

Produttore: Cale Boyter, Joseph M. Caracciolo Jr., Mary Parent, Denis Villeneuve

Cast: Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Charlotte Rampling, Dave Bautista, Stephen McKingley Henderson, Zendaya, David Dastmalchian, Chang Chen, Sharon Duncan – Brewster, Jason Momoa, Babs Olusanmokun, Souad Faress

L’Imperatore toglie il governo del pianeta Arrakis agli Arkonnen e lo affida agli Atreides, che così potranno controllare il commercio della “spezia”, una preziosissima polvere quasi invisibile che permette il viaggio interstellare. Tutti sanno che l’obbiettivo dell’Imperatore è quello di mettere Atreides contro Arkonnen al fine di scatenare una guerra, ciò nonostante il Duca Leto conduce lo stesso la sua gente su Arrakis. Sul pianeta li aspettano diverse insidie, tra cui sicuramente la popolazione indigena, i Fremen, che non accettano di buon grado la sete di potere degli invasori; particolare aggravato anche dall’ostilità degli Arkonnen. Ottenere la “spezia” non è per altro cosa facile dato che il sottosuolo di Arrakis è abitato dagli Shai – Hulud, vermi delle sabbie lunghi trecento metri attratti dalle vibrazioni ritmiche. In questo momento di grande tensione inizia a delinearsi però la figura del giovane Paul Atreides, figlio di Leto e Lady Jessica, tormentato dai suoi sogni, talvolta premonitori, e dal suo futuro.

Dopo il primo fallimentare adattamento cinematografico di Lynch, e un paio di serie televisive passate piuttosto inosservate, i tempi erano maturi per un nuovo e più ambizioso film basato sul ciclo di opere di Frank Herbert. Qui mi devo proprio sbilanciare perché con in circolazione un regista come Villeneuve i tempi come potevano non essere maturi? Arrival e Blade Runner 2049 hanno già dato modo di misurare l’immenso potenziale del cineasta canadese, che sembra al momento propenso a prendere in mano soggetti non originali per arricchirli.

Zendaya interpreta Chani, la Fremen che compare nei sogni di Paul Atreides.

Lo stile del direttore di questo straordinario spettacolo visivo è un collage che accomuna le epoche. C’è la poesia e l’immensità degli anni ‘70 e ‘80 di Ridley Scott, l’intensità statica di John Carpenter e c’è il dinamismo e l’epica tarantiniana; il mix perfetto per un’opera datata quanto attuale. Se l’occhio rimane impressionato dal gigantismo di orizzonti interstellari suggestivi e veicoli spaziali visionari, è anche l’orecchio nei film di Villeneuve ad essere sollecitato grazie al rinnovato binomio con Hans Zimmer, che ha ormai riscritto le coordinate delle colonne sonore. Il compositore, in attività già dagli anni ottanta, ha messo in infusione schianti rumoristici in acque ovattate che flirtano con muri di synth distorti; è praticamente da Batman v Superman: Dawn Of Justice (2016) che adotta questa tecnica e ritengo che, passando comunque per l’eccellente accompagnamento di Dunkirk (2017), siano i film di Villeneuve quelli in cui si sposano al meglio i suoi arrangiamenti. Sarà per il fatto che Dune (così come Arrival e Blade Runner 2049) è ricco di momenti riflessivi molto intensi, in cui i personaggi si confrontano con i loro pensieri, e che Villeneuve appunto sceglie di accompagnare con tappeti sonori noise che ne accentuano la drammaticità e questo a mio parere è uno dei pezzi forti del regista. Tutto questo avviene in una narrazione disordinata, che si presta volentieri all’approccio autoriale ma che non rifiuta nemmeno quello più spiccio e diretto tipico delle serie tv; laddove ci si aspetta un montaggio più ragionato e magari sottolineato da un silenzio piuttosto che dalla musica (a tratti forse anche ridondante), viene infatti preferito un cambio di campo molto schietto e senza grandi orpelli. La catarsi arriva, ma quando meno te lo aspetti, così come le scene di combattimento vengono descritte in maniera molto dettagliata quasi a rasentare l’atmosfera video ludica. Questo da un’idea di quanto il registro di Dune sia vario e di quanto si sia sforzato per trasferire tutte le sensazioni che può suscitare un racconto ricco e complesso come quello romanzesco. Si perché a differenza di Lynch, Villeneuve sceglie di distendere quanto più possibile l’adattamento che per ora rappresenta solo una piccola parte del ciclo di opere di Herbert; Lynch ha voluto condensare tutto in un solo film, assumendosi tutti i rischi del caso.

Non che l’obbiettivo del regista canadese sia privo di trappole ma per ora il tentativo è sicuramente andato a buon fine. Centrale in questo caso è la capacità non comune di affrontare un sacco di tematiche molto attuali, alcune in maniera più significativa, altre più marginalmente, ma si vede benissimo che a Villeneuve la fantascienza serve per ammonire il genere umano e metterlo in guardia sul suo futuro. Il rimando alla conquista coloniale, lo sfruttamento delle risorse naturali, l’intransigenza dettata dalla sete di potere, la mancanza di rispetto nei confronti di altre culture e civiltà, sicuramente rappresentano la base interpretativa di Dune. Tutto a far da corollario alla descrizione e alla crescita di un personaggio tutt’altro che scontato, quello di Paul Atreides, che sembra destinato a ristabilire un ordine nell’universo ma che non si sente portato per sopportare questa responsabilità.

Zanini Marco

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