C’Era Una Volta A… Hollywood – Tarantino tra nostalgia e confusione.

C’Era Una Volta A… Hollywood

Hollywood
la locandina del film di Quentin Tarantino
C’ERA UNA VOLTA? A HOLLYWOOD

Anno: 2019

Titolo originale: Once Upon A Time In… Hollywood

Genere: drammatico, commedia

Regia: Quentin Tarantino

Produttore: Quentin Tarantino, David Heyman, Shannon McIntosh

Cast: Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Emile Hirsch, Margaret Qualley, Timothy Olyphant, Julia Butters, Austin Butler, Dakota Fanning, Bruce Dern, Mike Moh, Luke Perry, Damian Lewis, Al Pacino, Nichoals Hammond, Samantha Robinson, Rafał Zawierucha, Lorenza Izzo, Costa Ronin, Damon Herriman, Lena Dunham, Madisen Beaty, Mikey Madison, James Landry Hébert, Maya Hawke, Victoria Pedretti, Scoot McNairy, Clifton Collins Jr., Dreama Walker, Rachel Redleaf, Rebecca Rittenhouse, Rumer Willis, Spencer Garrett, Clu Gulager, Rebecca Gayheart, Kurt Russell, Zoë Bell, Michael Madsen

Rick Dalton, consumato attore di action americani, tra i quali si ricorda soprattutto la sua parte nella serie televisiva western Bounty Law, deve fare i conti con le nuove tendenze cinematografiche di Hollywood che lo vedono defilarsi clamorosamente dalla popolarità. Per riciclarsi inizia ad interpretare il ruolo del cattivo in tutte le produzioni in cui viene coinvolto. L’agente di casting Marvin Schwarzs però, non solo lo mette in guardia sulla piega che potrebbe prendere la sua carriera dopo una scelta simile, ma in più, in segno della grande stima che nutre per lui, gli offre la possibilità di ritornare in sella recitando in svariati spaghetti western italiani. Dalton rifiuta sonoramente la proposta, ma lo accompagna il parallelo declino della sua controfigura, Cliff Booth, inviso dai nuovi produttori di Hollywood per il suo temperamento imprevedibile e violento. Nel frattempo Roman Polanski e Sharon Tate prendono casa proprio vicino a quella di Rick Dalton, che sogna di entrare in uno dei film del regista del momento. Un giorno Booth Vede Charles Manson aggirarsi intorno alla casa dei Polanski…

Il percorso di Tarantino ha conosciuto tre fasi. Una ascensionale: Le Iene, Pulp Fiction, Kill Bill. Una rafforzante: Bastardi Senza Gloria e Django Unchained. E ora sembra di assistere ad una altalenante: The Hateful Eight e appunto C’era Una Volta A… Hollywood. I segni dell’età? Esaurimento della strabiliante vena creativa che fu? Chi lo sa, ma gli ultimi sviluppi, se paragonati ai trascorsi, fanno pensare che alle sue storie manchi una direzione.

Il salto di qualità Quentin se lo è guadagnato osando sempre di più ma indovinando sempre i personaggi da cui partire. All’inizio era il mondo criminale e la dimostrazione che, in un’orgia di violenza e immoralità, si potesse arrivare a provare empatia per un sicario, accettarne le ragioni o quantomeno rimanerne affascinati. Poi è stato il momento di prendere una posizione politica di fronte a tante belle questioni. Una donna uccisa, e creduta morta dai killer professionisti di cui faceva parte, ritorna dal coma e si vendica facendoli fuori tutti. Una resa dei conti che pone Uma Thurman come simbolo della forza femminile. Quindici anni dopo sono gli ebrei a guidare un ribaltamento completo delle sorti della Seconda Guerra Mondiale in Bastardi Senza Gloria. “I nazisti non hanno umanità. Ecco perchè ogni figlio di puttana che indossi un’uniforme nazista dovrà morire.”, così dice Brad Pitt nel ruolo di Aldo Raine detto l’Apache. E fra scalpi sfilati a colpi coltello e pistolettate nei testicoli, i nazisti le prendono di santa ragione. E’ il 2012, Django è uno schiavo nero nel Texas del 1858. Liberato dalla prigionia da un cacciatore di taglie tedesco, parte alla ricerca della fidanzata venduta al latifondista Calvin Candie. Gli schavisti soccombono miseramente sotto la furia di Django.

Da sinistra Cliff Booth (Brad Pitt), Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e Marvin Scwarzs (Al Pacino).

Insomma la produzione di Quentin aveva ricercato una quadratura interessante ed impegnata, pur sempre mantenendo quell’accento pulp, violento ed estremo che lo ha sempre contraddistinto. Seppur The Hateful Eight avesse messo in luce una non scontata parabola sul male insito già nell’america secessionista, non scalpitava per un dispiego narrativo particolarmente brillante che, complice forse anche la lunghezza, annoiava un po’. C’era Una Volta A… Hollywood, con il fatto che recuperasse l’esistenza della sconvolgente comune di Manson, lasciava ben sperare per la familiarità con la materia tarantiniana. Lascia un po’ perplessi però il modo in cui il regista ha accerchiato la vicenda. Molti dei tratti somatici sono rimasti intatti come ad esempio la libertà di riscrivere la storia. In questo Tarantino affascina per l’indole da sognatore che lo porta a respirare al cento per cento l’idea che la forza del cinema possa fungere da macchina del tempo capace di cambiare le carte in gioco e, attraverso la fantasia, far vivere i nostri sogni e desideri. Quale potere più bello e genuino può avere la macchina da presa? L’abilità dialettica c’è sempre, anche se va spegnendosi lentamente senza mai eguagliare le vette raggiunte anni fa con dialoghi magistrali. Così come la violenza, ormai relegata agli ultimi minuti, dove così circoscritta sembra quasi un contentino da dare in pasto al pubblico più distratto, giusto per dire: “Ehi si ragazzi, sono quello dell’ultra violenza.” Rimasuglio di un divertimento naïf poco spontaneo. Si facevano altamente preferire i litri di sangue grottesco sparsi per tutta la seconda parte di Kill Bill Volume 1.

Inoltre da parte di un regista che si è sempre dimostrato legatissimo al cinema orientale e alla sua connotazione combattente colpisce molto il fatto che Bruce Lee sia ridotto ad una rievocazione che definire ridicola è poco, considerate poi le possibilità che c’erano con una storia simile di costruirne un’epica stimolante. Sembra infatti che l’attenzione di Tarantino si sposti totalmente dalla magnifica elevazione fisica e spirituale di capolavori come Kill Bill e Pulp Fiction, in cui i tipi di cinema più amati si compenetravano perfettamente, per concentrarsi sullo sfavillio delle insegne colorate hollywoodiane e sull’ostentazione della popolarità di quell’universo. Siamo chiari, certe sequenze avvolte dal silenzio e immerse nella notte, quando si può solamente distinguere Brad Pitt al volante, sono mirabili e suggestive, ma funzionano da orpello ad un racconto che fra gli scivoloni attoriali di Rick Dalton/ Leonardo DiCaprio e la bellezza divina di Sharon Tate/Margot Robbie, sembrano non condurre a niente di significativo. Ma forse l’errore più grande è stato commesso in partenza nella scelta dei due personaggi principali di cui si fa’ apprezzare solo la solida amicizia. Rick Dalton e Cliff Booth, due coglionacci americani (come li avrebbe definiti Kurt Rusell in un’evoluzione delle loro pellicole, Tango E Cash), definiti “fascisti” pure dai controversi galoppini di Manson. Stiracchiatissimo e fuorviante poi il motivo che li avrebbe spinti a perseguire il loro diabolico piano, frutto a quanto pare di un dibattito filosofico su quello che la farsa cinematografica avrebbe insegnato loro attraverso l’uso della violenza. Basterebbe questo per dare l’idea di un racconto confuso e senza una meta, ma animato dalla necessità di scrivere un’appassionata lettera d’amore ad una Hollywood preoccupantemente cafona e reazionaria posta come unica cura per scacciare la pericolosa e inquietante emanazione Manson.

Adagiato sugli allori di una particolare nostalgia Tarantino sembra aver mantenuto un romantico sapore cinefilo, ma smarrito lo stile giusto per qualcosa di memorabile.

Zanini Marco

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