Borsellino via D’Amelio. I processi (3/3)

Borsellino via D’Amelio. I processi (3/3)

“Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”.

(Agnese Piraino, moglie di Paolo Borsellino)

Giovanni Brusca, nel 1998, dichiarò che Borsellino non volle assolutamente accettare il patto Stato-Mafia. Si oppose alla trattativa e alla revisione del maxiprocesso. Questa presa di posizione disturbava il progetto di Riina che per interrompere la strategia stragista pretendeva delle concessioni da parte dello Stato. Quindi si decise per l’eliminazione del magistrato.

Il concetto fu ripreso dal pentito Nino Giuffrè quando sostenne che Borsellino: “ rappresentava un pesantissimo ostacolo alla realizzazione dei disegni criminali non soltanto dell’associazione mafiosa, ma anche di molteplici settori del mondo sociale, dell’economia e della politica compromessi con Cosa Nostra”.

Il 26 giugno 2008 davanti al procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari l’ex mafioso di Brancaccio, Gaspare Spatuzza, riscrisse la strage di via D’Amelio.

Spatuzza ammise che, la notte fra l’8 e il 9 luglio, rubò la 126 amaranto con Vittorio Tutino su incarico di Fifetto Cannella e di Giuseppe Graviano, capo “famiglia” del Brancaccio.

Graviano Giuseppe

La vettura, che aveva dei problemi ai freni, venne portata nell’officina di Maurizio Costa che cambiò le ganasce dei freni e la frizione.

Il 18 luglio dopo aver rubato le targhe dall’officina di Orofino, contando sul fatto che il carrozziere avrebbe denunciato il furto solamente il lunedì 20 luglio, la piccola Fiat venne portata in un garage di via Villasevaglios, dove Renzo Tinnirello, Ciccio Bellavia  e una terza persona, che Spatuzza non riconobbe, la imbottirono di esplosivo. Quindi venne lasciata in Piazza Leoni a due chilometri da via D’Amelio.

Da questo momento si perdono le tracce di chi ha portato l’auto in via D’Amelio nel suo ultimo viaggio.

A proposito della presenza sconosciuta incontrata nel garage, Spatuzza riconobbe in seguito in fotografia Lorenzo Narracci, un ex funzionario del Sisde braccio destro di Bruno Contrada.

Qualche tempo dopo Scarantino messo a confronto con Spatuzza ammise di essersi inventato tutto.

A questo proposito, i giudici del Borsellino “quater”, riferendosi al picciotto della Guadagna, hanno rimarcato che : “E’ del tutto logico ritenere che tali circostanze siano state a lui suggerite da altri soggetti”. 

Scarantino ha sempre mescolato bugie con elementi di verità: “Pur essendo sicuramente inattendibili, contengono elementi di verità”

Giovan Battista Ferrante, fu l’ennesimo collaboratore di giustizia che nel 1997 durante le udienze del processo Borsellino bis ammise di aver partecipato alla strage di via D’Amelio con il ruolo di telefonista e di aver seguito il corteo di Borsellino dall’ingresso a Palermo proveniente da Villagrazia di Carini.

Inoltre, qualche giorno prima, si occupò anche di testare i telecomandi che sarebbero stati usati la domenica 19 luglio.

Ferrante è stato l’unico ad aver dichiarato che in via d’Amelio furono portati dei fusti di calce riempiti con l’esplosivo, ma quando lo fece presente al Pm Annamaria Palma questa non gli diede importanza ritenendo che la pista della 126 fosse più attendibile.

Fabio Tranchina, collaboratore di giustizia, nell’aprile del 2011 disse di aver accompagnato Giuseppe Graviano in via D’Amelio per verificare quale sarebbe stata la postazione migliore per usare il telecomando senza rischiare di essere investiti dall’esplosione. Fu scelto il giardino dietro il muro che chiude la via.

Fabio Tranchina

Tutto porta a credere che la persona che azionò il telecomando sia stato Giuseppe Graviano, ma rimane ancora una delle domande senza risposta.

Per onore di cronaca occorre far presente che, in una intercettazione fatta nel carcere di Opera, Salvatore Riina disse, al solito compagno d’aria Alberto Lorusso, che Borsellino innescò l’esplosione suonando il campanello.

Gli inquirenti giudicano la tecnica possibile, ritenendola analoga a quella usata per l’attentato al rapido 904 del 23 dicembre 1984 nei pressi di San Benedetto Val di Sambro.

Dopo 18 anni di depistaggi, in seguito, alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia la Procura Generale di Caltanissetta chiese il processo di revisione.

Spatuzza e Tranchina vennero condannati per la strage di via D’Amelio rispettivamente a quindici e dieci anni di reclusione.

Processi
Gaspare Spatuzza

Il 13 luglio del 2017 la sentenza della corte d’Appello di Catania, dove si è celebrato il processo, è stata di assoluzione per Gaetano Murana, Giuseppe Orofino, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Salvatore Profeta, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto, Salvatore Candura (condannato solo per il furto della 126 imbottita di tritolo) e Vincenzo Scarantino che vive sotto copertura in una località segreta.

Dei condannati ingiustamente tre erano incensurati: Gaetano Murana, Giuseppe Urso e Cosimo Vernengo.

Per Urso e Vernengo, cognati fra di loro, ha pesato la parentela con persone di Cosa Nostra.

Particolare invece la storia di Gaetano Murana; netturbino del comune di Palermo, incensurato e assolutamente innocente ma accusato dalla falsa testimonianza di Scarantino, che abitava a 50 da casa, che si è giustificato in seguito asserendo che Murana lo conosceva e gli era antipatico perché non gli dava confidenza. Una antipatia pagata con 18 anni di carcere di cui tre nell’inferno di Pianosa.

I giudici lo hanno condannato solo per la testimonianza di un balordo e senza aver mai avuto la possibilità di un confronto con il suo accusatore.

Murana Gaetano

 

Nell’aprile del 2017, in merito al processo Borsellino “quater” per la strage di via d’Amelio, la Corte d’Assise di Caltanisetta, presieduta da Antonio Balsamo, accogliendo le richieste della procura ha condannato all’ergastolo, il boss palermitano della cosca San lorenzo, Salvatore Madonia come mandante e Vittorio Tutino come partecipante attivo alla strage, ha inoltre inflitto dieci anni agli autori del depistaggio Francesco Andriotta e Calogero Pulci, prescrizione per Vincenzo Scarantino al quale venne riconosciuto di essere stato indotto a rilasciare le false accuse.

Salvatore Madonia e Vittorio Tutino

In pratica in questo Borsellino “quater” vengono riprese ed ampliate le spiegazioni del processo precedente.

Dopo 14 anni dalla chiusura dell’ultimo processo sulla strage di via D’Amelio, i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta hanno depositato le motivazioni della sentenza.

In 1856 pagine divise in 12 capitoli, i giudici hanno individuato negli investigatori dell’epoca gli autori

del depistaggio.

“Un disegno criminoso che ebbe come movente una concomitanza di interessi tra Cosa Nostra e poteri nascosti negli apparati dello Stato”.

Secondo i giudici l’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera ebbe un “ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa”.

L’agenda rossa era sicuramente custode di preziose annotazioni e secondo i giudici: “Conteneva una serie di appunti di fondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività da lui svolta nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci”.

Oltre a La Barbera sono chiamati in causa anche i più stretti collaboratori che facevano parte del famoso gruppo investigativo Falcone-Borsellino: Mario Bo, ex funzionario e adesso dirigente della Polizia, Fabrizio Mattei ex ispettore e adesso in pensione e Michele Ribaudo agente di polizia, sono oggi imputati nel processo per depistaggio con l’accusa di calunnia aggravata per aver favorito Cosa Nostra.

Scarantino e Candura, anni dopo, dichiararono di essere stati minacciati e picchiati dalla polizia per costringerli a confermare di esser gli autori dell’attentato.

L’ex capo della mobile durante i fatti di via D’Amelio nel 2001 divenne capo dell’Ucigos, l’Ufficio di coordinamento delle Digos di tutta Italia, e il 21 luglio 2001 si trovava a Genova durante il G8 quando ci fu l’irruzione della polizia nei locali della scuola Diaz. In seguito a quella mattanza anche La Barbera ricevette un avviso di garanzia. L’episodio segnò la fine della sua carriera.

Malato da tempo il 12 dicembre 2002 morì a causa di un male incurabile.

A proposito di Arnaldo La Barbera, il pentito Vito Galatolo disse che: “era uno corrotto, messo a libro paga di Resuttana, veniva pagato per darci delle notizie, era uno da non toccare perché una persona di fiducia nostra”

Nel frattempo due magistrati sono accusati di depistaggio durante l’indagine. Si tratta di Annamaria Palma, avvocato generale a Palermo, e Carmelo Petralia, attualmente Procuratore aggiunto a Catania.

La Procura di Caltanissetta ha richiesto ai colleghi di Messina di verificare se ci sono state delle responsabilità durante le indagini da parte dei due ex Pm che all’epoca indagarono sulla strage di via D’Amelio. Il sospetto è di concorso in calunnia aggravata per aver favorito Cosa Nostra.

Il procuratore di Caltanissetta, Amedeo Bertone ha dichiarato che sebbene si sia giunti ad una sentenza sono rimasti interrogativi ancora senza risposte.

Nessuno tra i numerosi pentiti ha mai sollevato il velo della verità su chi ha usato il telecomando per innescare l’esplosione il 19 luglio.

Chi ha fornito Cosa Nostra dell’esplosivo usato per la strage?

Chi ha sottratto la famosa agenda rossa di Borsellino?

Non si conosce chi fu l’ultima persona che condusse l’autobomba fino alla sua destinazione finale prima dell’esplosione.

D’altronde i pentiti alla fine dicono e non dicono, smentiscono alcune dichiarazioni ma non ne chiariscono altre.

Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha dichiarato che: “Con la sentenza di oggi la Corte di Assise di Caltanissetta restituisce dignità alla giustizia e punta a chiare lettere il dito contro i depistatori di Stato, finora lasciati impuniti dalla Procura della Repubblica. Il proscioglimento di Scarantino certifica come siano stati organi istituzionali a ideare le calunnie e il falso di Stato costruito su via D’Amelio in questi 25 anni. La nazione deve ringraziare ciascuno dei giudici togati e dei giudici popolari, che – con la sentenza di oggi – riconciliano i familiari delle vittime di via D’Amelio e la giustizia”.

 

I processi Borsellino

Borsellino “1”

 

Il 24 ottobre 1994 incomincia a Caltanissetta il processo per la strage di via D’Amelio

Scarantino accusò suo cognato Salvatore Profeta, Pietro Aglieri, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Giuseppe Urso, Cosimo Vermengo, Gaetano Murana, Gaetano Scotto, Lorenzo Tinnirello e Francesco Tagliavia di essere stati gli esecutori dell’attentato di Via D’Amelio.

Tre anni dopo, luglio 1995,  Scarantino ammise di aver accusato ingiustamente degli innocenti, ma non venne creduto dai giudici e alla fine dei tre gradi di giudizio nel dicembre del 2000 la Corte di Cassazione confermò l’ergastolo per Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino, il carrozziere che avrebbe custodito nella sua officina la Fiat 126, fu condannato a 9 anni, Scarantino ebbe 18 anni. Mentre Pietro Scotto fu assolto. 

Borsellino “bis”

Il secondo filone del processo per l’attentato di via D’Amelio prese l’avvio il 14 maggio 1996. 

Vennero rinviati a giudizio: Riina, Aglieri, Greco, Calascibetta, Giuseppe Graviano e Biondino, chiamati in causa da Scarantino in quanto partecipanti alla riunione in casa di Giuseppe Calascibetta.

Altre 12 persone furono accusati dal “picciotto della Guadagna” in quanto ritenuti responsabili della strage.

Nel frattempo l’inferno del carcere di Pianosa con il suo regime 41 bis diventò insopportabile per Scarantino che nel 1998 ritrattò le sue accuse accusando Arnaldo La Barbera di averlo costretto a mentire.

I giudici anche questa volta non credettero all’ennesima ritrattazione e dopo due gradi di giudizio nel luglio 2003 la Corte di Cassazione sentenziò: ergastolo per Riina, Aglieri, Biondino, Greco, Giuseppe Graviano, Gaetano Scotto, Tagliavia, Vernengo, La Mattina, Gambino, Tinnirello, D’Urso e Gaetano Murana. 

Borsellino “ter”

In seguito alle dichiarazioni fornite dai collaboratori di giustizia: Giovan Battista Ferrante, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi e Calogero Ganci iniziò il terzo troncone del processo chiamato Borsellino ter. 

Scarantino esce di scena.

Dopo i primi due gradi di giudizio, nel gennaio 2006 la Corte d’Assise d’Appello di Catania condannò all’ergastolo: Giuseppe Madonia,Salvatore e Giuseppe Montalto, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Benedetto Santapaola, Carlo Greco, Pietro Aglieri, Mariano Agate e Benedetto Spera.

Nel settembre 2008 le condanne furono confermate dalla Corte di Cassazione.

Borsellino “quater”

Nel giugno del 2008 fu la volta di Gaspare Spatuzza a collaborare con la giustizia. 

La Procura di Caltanissetta riaprì per l’ennesima volta le indagini.

Nel frattempo Scarantino, Candura ed Andriotta ammisero di essere stati costretti a sostenere di aver partecipato alla strage, da pesanti sollecitazioni psicologiche e minacce d’ogni genere da parte di Arnaldo La Barbera e dagli uomini del gruppo Falcone-Borsellino.

Il 20 aprile del 2011 la sentenza definitiva della Corte d’Assise di Caltanissetta ha condannato all’ergastolo Salvatore Madonia come mandante e Vittori Tutino come partecipante alla strage. Inoltre Francesco Andriotta e Calogero Pulci a 10 anni per calunnia.

Vincenzo Scarantino è libero per pervenuta prescrizione in ordine di reato di calunnia pluriaggraviata.

Spatuzza nel 2013 è stato condannato dal giudice dell’udienza preliminare di Caltanissetta a 15 anni, Tranchina a 10 anni per il loro ruolo riguardo alla strage.

Per calunnia aggravata l’ex collaboratore Salvatore Candura è stato condannato a 12 anni.

 

Strategia della tensione mafiosa:

14 maggio 1993 – in via Fauro a Roma attentato al giornalista Maurizio Costanzo. Ferite 24 persone

27 maggio 1993 – Strage in via Georgofili a Firenze: 5 morti 48 feriti

27 luglio 1993 – Strage di via Palestro a Milano: 5 morti 12 feriti

28 luglio 1993 – Strage di San Giorgio al Velabro e di San Giovanni in Laterano a Roma: 22 feriti

gennaio 1994 – Tentata strage allo stadio Olimpico a Roma: una autobomba non esplosa per un difetto al congegno dell’attivazione della carica

Tra il 1992 e il 1996 Riina e tutti i suoi fedelissimi furono arrestati.
Salvatore Riina venne fermato il 15 gennaio del 1993 a Palermo a bordo di una Lancia Y10, guidata da Salvatore Biondino, non lontano da via Bernini dove abitava.

Ma quando, il 2 febbraio, i carabinieri individuarono l’appartamento di Totò Riina, lo trovarono con i mobili al centro della stanza, le pareti imbiancate e la cassaforte vuota senza i famosi documenti che avrebbero compromesso molti uomini di Stato.

Provenzano che aveva chiesto in cambio della testa di Riina una sorta di impunità, rimase latitante per ben quarantatre anni, quando l’11 aprile del 2006 venne trovato in una masseria di Corleone. Provenzano, detto Binnu u tratturi, è morto il 13 luglio 2016 stroncato da un cancro alla vescica.

 

Alberto Zanini

 

 

2 Risposte a “Borsellino via D’Amelio. I processi (3/3)”

    1. Ti ringrazio sei molto gentile. Il lavoro di ricerca mi prende molto tempo, ed io sono notoriamente lungo e pignolo. ciao e grazie per averlo letto.

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