Borg McEnroe – Epica e sport alla Borg. Spietato e senza romanticismi.

Borg McEnroe

Anno: 2017

Titolo originale: Borg McEnroe

Paese di produzione: Svezia, Danimarca, Finlandia

Genere: sportivo, biografico

Regia: Janus Metz

Produttore: Jon Nohrstedt, Fredrik Wikström

Cast: Sverrir Gudnason, Shia LaBeouf, Stellan Skarsgård, Tuna Novotny, Robert Emms, Jason Forbes, Björn Granath, Scott Arthur, Tom Datnow, Jane Perry, Thomas Hedengran, David Bamber, Claes Ljungmark

Wimbledon 1980. Già si preannuncia una finale con lo scontro titanico tra il già quattro volte vincitore del torneo Bjorn Borg ed il talentuoso emergente John McEnroe. Il regista danese Janus Metz ci vuole riportare a quei tempi per farci rivivere le emozioni di uno dei duelli sportivi più importanti di sempre. Si dovesse valutare il suo film in base a questo proposito non ci sarebbe nulla da dire. La messa in scena della magnifica ed infinita finale è una gemma cinematografica, retta benissimo dai due interpreti principali Shia LaBeouf e Sverrir Gudnason. Borg McEnroe complessivamente sa rendere bene l’idea dell’epica sportiva, non solo nel suo spettacolare culmine, ma anche in tutto il trepidante percorso che conduce i suoi personaggi alla spannung. Regia e sceneggiatura scorrono fluide e senza impicci all’insegna dell’efficacia e della semplicità. Con grande fruibilità ed accurata scelta dei dialoghi è stata rappresentata la contrapposizione tra lo svedese e l’americano, uno glaciale e privo di ogni emozione, l’altro iroso ed allergico alle reazioni degli spettatori e alle decisioni arbitrali. Tutta l’indagine prende i tratti della psicoanalisi, palleggiandosi da un tennista all’altro, seguendo i loro percorsi di crescita per mostrarci come hanno fatto a diventare così forti. Come, ma non perchè. Non ci viene mostrato e forse non c’è un motivo per cui Borg in tenera età abbia deciso di iniziare a colpire la saracinesca di un garage sviluppando il suo violento rovescio a due mani sognando di diventare il più forte del mondo. McEnroe d’altro canto pare una scheggia impazzita assuefatta dalla sua arroganza e dal suo desiderio di arrivare senza pensare alla forma; Metz ci concede solo l’inquadratura di un poster di Borg nella sua cameretta ma nient’altro. Un approfondimento senza nemmeno l’ombra del romanticismo che ci si potrebbe aspettare da una storia sportiva. Se così dovesse corrispondere alla realtà ci sarebbe un po’ da preoccuparsi.

Shia LaBeouf è McEnroe. La sua interpretazione dettagliata è da ricordare.

Il risultato che ne scaturisce è quello di due sportivi diventati icone al pari delle rock star, pompate a dismisura dai media per le loro peculiarità. La riflessione più approfondita e meno giocosa è quella di due colossi resi quasi inspiegabilmente e differentemente instabili. Borg, già ultra campione non riesce ancora ad affrontare la vita con rilassato appagamento, tanto da cacciare le persone più care senza motivo; McEnroe è disposto a tradire i suoi amici per raggiungere il suo scopo. Un’immagine dello sport e dei suoi rappresentati più importanti che fa’ pensare in negativo e trasmette un intrigante ma oscuro lato di una competizione malata ed insalubre, dove si respira a più riprese la perdizione. Come quella di Borg, che sotto la doccia si accascia nudo per terra in un disperato sensazionalismo tipico delle biografie sportive che tendono a sguazzare nella loro insensata drammaticità. Senza dubbio più naturale ed apprezzabile è il lavoro fatto su McEnroe e realizzato da LaBeouf che si mette in mostra in una prova attoriale viscerale, riuscita e di grande minuziosità espressiva.

Il vero protagonista è però Borg e lo si capisce già dalla scelta di mostrare la sua grande vittoria e non quella seguente dello sfidante più giovane. Da un punto di vista dello stile il film subisce l’atteggiamento anti emotivo dello svedese che si estende a macchia d’olio costituendone le manovre del racconto. Questo rappresenta il vero grande limite di Borg McEnroe, cioè la mancanza di uno slancio romantico sovrastato dal compiacimento del duello tra personalità fortissime. I sottotitoli finali encomiano giustamente la risultante amicizia nata negli scontri tra i due eterni sfidanti e forse questa è l’unica cosa positiva della storia. Per il resto emerge una sintesi filosofica del tennis tortuosa, disperata e senza sensibilità, proprio come il suo protagonista. Una vicenda un po’ buia dove si spettacolarizza e si narra il come ma non il perchè.

Zanini Marco

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