Black Mirror – Terza Stagione – Sei episodi e una stagione da cinque stelle.

Black Mirror – Terza Stagione

Anno: 2016

Paese di produzione: UK

Genere: fantascienza/ drammatico/ thriller

Ideatore: Charlie Brooker

Produttore: Charlie Brooker

Regia: Joe Wright, Dan Trachtenberg, James Watkins, Owen Harris, Jakob Verbruggen, James Hawes

Cast: Bryce Dallas Howard, Alice Eve, Cherry Jones, James Norton, Alan Ritchson, Daisy Haggard, Susannah Fielding, Michaela Coel, Kadiff Kirwan, Sopé Dìrìsù, Andrew Roux, Wyatt Russell, Hannah John – Kamen, Wunmi Mosaku, Ken Yamamura, Elizabeth Moynihan, Jamie Paul, Alex Lawther, Jerome Flynn, Susannah Doyle, Hannah Steele, Sarah Beck Mather, Beatrice Robertson – Jones, Maya Gerber, Camilla Power, Ivanno Jeremiah, Natasha Little, Nicola Sloane, Paul Bazely, Leanne Best, Gugu Mbatha – Raw, Mackenzie Davis, Denise Burse, Annabel Davis, Raymond McAnally, Gavin Stenhouse, Malachi Kirby, Madeline Brewer, Ariane Labed, Sarah Snook, Michael Kelly, Kola Bokinni, Francis Magee, Aruhan Galieva, Simon Connolly, Dean Ashton, Kave Niku, Thomas Thoroe, Loreece Harrison, Toby Oliver

Episodi:

  1. Caduta Libera
  2. Giochi Pericolosi
  3. Zitto E Balla
  4. San Junipero
  5. Gli Uomini E Il Fuoco
  6. Odio Universale

Il 2015 è un anno cruciale per Black Mirror. Netflix infatti si fa’ avanti, acquista i diritti della serie, e pianifica dodici nuovi episodi, che vengono divisi in due stagioni. Black Mirror 3 dunque rappresenta un’altra novità assoluta per quanto riguarda la sua lunghezza effettiva e la quantità dei racconti. Non è ovviamente questo il motivo per il quale Black Mirror compie un deciso salto di qualità. Finalmente, dopo due stagioni imperfette, in cui sembravano privilegiate le tematiche a discapito dell’esecuzione finale, in questa terza stagione si avverte un netto miglioramento da un punto di vista tecnico. Scrittura, regia e recitazione acquistano la profondità finora mancata e questo si nota all’interno della stagione, quasi nella sua interezza. Con la popolarità raggiunta Brooker e soci decidono di tenere alta l’attenzione dei fans coinvolgendo per il primo episodio un’attrice molto in vista come Bryce Dallas Howard.

In Caduta Libera la figlia di Ron Howard interpreta la protagonista Lacie Pound, ragazza qualunque soave e delicata come uno zuccherino in un mondo che sembra un gigantesco confetto rosa. Al di là dei toni pastello, nella realtà in cui vive Lacie i telefoni cellulari hanno una tecnologia che permette alle persone di dare un voto alle altre persone, da uno a cinque; giudizi pubblicamente condivisi in qualsiasi momento. Lacie, che è molto dipendente da questa competizione, cerca in tutti i modi di migliorare il suo voto, soprattutto quando scopre che per avere uno sconto sull’acquisto di una nuova casa deve raggiungere un punteggio minimo di 4,5. Sembrano mettersi in moto eventi a lei favorevoli quando una vecchia amica di infanzia, Naomi Blestow, la sceglie come damigella d’onore del suo matrimonio. Naomi però vive lontana da Lacie, quindi per raggiungerla dovrà prendere un aereo e nel tragitto succederà di tutto. Caduta Libera offre un’importante riflessione sul nostro continuo bisogno di approvazione, visibile attraverso l’inconsistenza di quello che condividiamo sui social network, tentativi talvolta disperati di richiamare l’attenzione e soddisfare il nostro ego. Il contenitore all’interno del quale si svolge la vicenda è inoltre un’ottima metafora di come un mondo all’apparenza perfetto, risulti poi estremamente competitivo, spietato e ingiusto. Dal momento in cui il voto che hai è strettamente correlato alle cose che puoi o non puoi avere, il fatto che le altre persone possano arbitrariamente punirti o elogiarti incrementandolo, è il frutto di una società in cui il senso di senso civico è totalmente naufragato. Il rapporto che vede poi Lacie subordinata e quasi devota a Naomi dimostra come anche nel nostro piccolo siamo destinati a creare nicchie gerarchiche in cui qualcuno conta più di qualcun’altro. Non male questo Caduta Libera, anche se il finale, che dovrebbe essere il culmine tensivo del racconto, non soddisfa al 100%. Inoltre la dipendenza da social mostrata è così vicina al nostro presente da non risultare nemmeno così imprevedibile e particolare. Il progresso tecnologico mostrato è piuttosto normale e questo abbassa un po’ l’interesse della trama.

Lacie Pound (Bryce Dallas Howard) entusiasta del suo punteggio.

La stagione decolla definitivamente con il seguente Giochi Pericolosi, forse il più audace e brutale episodio di Black Mirror fino a questo punto. Anche qui piccola sorpresa: a vestire i panni del protagonista, Cooper Redfield, è Wyatt Russell, figlio di Kurt. Alla regia inoltre il talentuoso Dan Trachtenberg, regista di 10 Cloverfield Lane, per me ancora adesso miglior film del 2016. Cooper un giorno scappa di casa e inizia a girare il mondo. La sua ultima meta prima di tornare negli Stati Uniti è l’Inghilterra. A Londra incontra Sonja, e dopo avere passato la notte insieme, Cooper scopre che la sua carta di credito è stata clonata. Senza soldi, decide di trovarsi un lavoro temporaneo per poi partire. Sonja gli indica un’azienda che assume personale per testare nuovi videogiochi molto innovativi. Cooper accetta dunque di prestarsi all’uso di una vera e propria realtà virtuale in cui si viene immersi totalmente attraverso un chip innestato nel collo. Il programma è una casa degli orrori che di volta in volta si popolerà di tutte le paure di chi la abita. Un incubo nella finzione, ma anche un incubo nella realtà, e Cooper ne rimarrà intrappolato fino alla follia. Giochi Pericolosi mostra un territorio in cui Trachtenberg aveva già dimostrato di saperci fare, gli spazi chiusi e le sfide psicologiche che ne comportano. Wyatt Russell, impegnato in una fedele riedizione di quello che suo padre rappresentava negli anni ’80 in alcuni ruoli, l’americano chiacchierone che cerca di esorcizzare le paure con una logorrea perenne, sorregge da solo tutto l’episodio. In particolare qui ad essere presa di mira è proprio la categoria dei programmatori che, ormai assuefatti dal loro compito, sembrano non temere più i rischi dell’avvicinamento della nostra realtà con quella virtuale. In Black Mirror però sembra che neanche il più sbruffone degli americani possa averla vinta contro un futuro di ineluttabile e violenta manipolazione mentale. A convincere di Giochi Pericolosi comunque è la tensione costante dall’ingresso nella casa fino alla fine, punto in cui Cooper sprofonda in un vortice di pazzia e terrore, al termine di un racconto sconvolgente.

Cooper (Wyatt Rusell) si addentra in una nuova rivoluzionaria realtà virtuale terrificante..

E parlando di delirio non si può certo non soffermarsi su Zitto E Balla, un titolo che, una volta esclusa la connotazione danzereccia, è già una bella dichiarazione d’intenti. Il taciturno Kenny un giorno inavvertitamente permette ad un hacker di accedere al suo portatile. Viene spiato mentre si masturba e in seguito ricattato. Se non esegue le istruzioni dell’hacker il suo segreto verrà svelato a tutti i suoi contatti. Il giorno seguente inizia un’assurda odissea in cui Kenny viene messo alla prova continuamente dall’hacker che lo obbliga a fare delle cose sempre più pericolose. Solo nel finale Charlie Brooker mette al corrente lo spettatore che Kenny è un pedofilo e che quindi il materiale su cui si masturbava conteneva bambini; sfruttando anche un clamoroso colpo di scena visto che Kenny è un ragazzo piuttosto giovane. Detto questo, Zitto E Balla, nonostante appaia lungamente come un’inarrestabile corsa ad alta tensione, recupera il tema della punizione. Stavolta non c’è un’istituzione giudiziaria alle spalle, ma una cosa che forse spaventa ancora di più, cioè un “boia” tecnologico nascosto che si fa’ giustizia da solo. Un’aberrazione civica mostruosa, che arbitrariamente decide le sorti degli altri, fino a farli lottare inutilmente per la sopravvivenza. Kenny di fatto alla fine è costretto a combattere contro un uomo e lo uccide per salvare il suo segreto. Peccato che l’hacker ha diffuso ugualmente il video e la Polizia poi arresta Kenny. Insomma, stiamo parlando di un senso di giustizia davvero diabolico e sadico, che salta decisamente qualche passo processuale per condurre un uomo direttamente in galera. Un giochetto di un’efficacia tagliente, ma anche qui siamo sempre alle solite. E’ un’eventualità auspicabile? Non è un tantino eccessivo? Cosa avrà voluto comunicare Charlie Brooker? Giudicato da un punto di vista tecnico comunque Zitto E Balla è davvero coinvolgente e vanta momenti di grande suspense, come la scena della rapina in banca (in cui si apprezza il fatto che un ragazzino impacciato riesca nell’impresa senza grossi problemi). Diciamo che fino al punto in cui non viene rivelato nulla si assiste ad uno spettacolo insolito, che custodisce tutto il suo fascino proprio nell’inconsapevolezza. Magari fosse finito così, senza una motivazione precisa, ma solamente come una prova da superare, avremmo assistito ad un esperimento narrativo più stimolante.

Kenny (Alex Lawther) nella sua folle avventura rapina una banca!

Sempre di personaggi introversi si parla in San Junipero, la cui protagonista è Yorkie (la interpreta Mackenzie Davis, la bionda dallo sguardo magnetico di Blade Runner 2049). Ci troviamo di fronte ad una storia completamente diversa comunque e qui mi sbilancio: San Junipero è a mio parere l’episodio più bello di tutto Black Mirror. Forse anche perchè è il primo, e comunque uno tra i pochissimi, ad avere un lieto fine. Negli anni ’80 Yorkie sta passeggiando per la prima volta a San Junipero e, finita in un locale, il Tucker’s, conosce una ragazza, Kelly, molto più estroversa di lei. Tra le due nasce qualcosa. Kelly esterna immediatamente la sua attrazione per Yorkie, mentre quest’ultima, pur rifiutandola, torna a cercarla una settimana dopo e a questo punto finiscono a letto insieme. Qui inizia la magia che Brooker ha architettato per l’episodio. Fino a questo punto tutto normale, ma una settimana dopo Yorkie torna a cercare Kelly al Tucker’s ma non la trova. Chi la conosce le consiglia di cercarla in un’altra epoca. Iniziano a farsi strada nella mente dello spettatore molte domande. Cosa sta succedendo? Yorkie è all’inizio degli anni ’80 ma non trova Kelly. Yorkie passa agli anni 2000 e stavolta trova Kelly! Una macchina del tempo? Non esattamente. San Junipero in realtà non esiste. O almeno, non nella nostra realtà. E’ un mondo contenuto in dei dispositivi minuscoli che si appoggiano a una tempia e che una volta attivati immergono la tua coscienza, che si proietta sotto forma del tuo io giovane, in una località marittima bellissima dove ci si diverte in continuazione. Questo mondo prende il nome del progetto che lo sta brevettando, appunto San Junipero, un programma terapeutico che aiuta gli anziani e i malati a rivivere gli anni più belli della loro vita ma anche per dare un rifugio sereno ai morti. Yorkie e Kelly infatti sono accomunate da destini avversi. La prima è paralizzata da quarant’anni (da quando ne aveva venti), la seconda sta sviluppando un tumore ed è vicina alla morte. Le due si amano e alla fine decidono di togliersi la vita nel mondo reale per vivere insieme per sempre su San Junipero. Come può una storia così commovente e liberatoria non toccare le corde giuste? Owen Harris alla regia e le due interpreti calamitano l’attenzione del pubblico in un episodio spumeggiante, struggente e nostalgico proprio come la passionale immersione che compie negli anni ’80, ma anche nelle varie epoche, sempre scandite con la musica tipica del periodo. Dagli INXS, ai Living In A Box, passando per i Lipps Inc., fino a Alanis Morisette e Kylie Minogue. San Junipero non è un solo un racconto d’amore fuori dal tempo e dalla realtà, ma è anche una celebrazione della musica e del ballo, suggestiva e appassionata, che riesce persino nell’ardua impresa di infilare Belinda Carlisle nel finale senza suscitare troppi patetismi, ma anzi trasformando Heaven Is A Place On Earth in un totale canto di libertà. Diciamolo, San Junipero è così positivo ed ottimista che esula da Black Mirror, ma forse è proprio per quello che lo amo così tanto, perchè si fa’ spazio prepotentemente nel nero che ostinatamente la serie vuole gettarci addosso. Questo unito al fatto che le scene di ballo di San Junipero sono girate con un’intensità tale da renderlo irresistibile; per non parlare del magnetismo di Gugu Mbatha – Raw, fantastica.

Sguardi indimenticabili tra Yorkie (Mackenzie Davis) e Kelly (Gugu Mbatha – Raw) in San Junipero.

Gli Uomini E Il Fuoco ci sbatte di nuovo sulla carovana indiavolata e opprimente di Black Mirror, ma con ottimi risultati. Stripe Koinange è un soldato che combatte un nemico repellente, i mutanti chiamati “parassiti”. Fisicamente simili agli umani ma dal volto sfigurato e rivoltante, vengono stanati dalla squadra in cui opera Stripe all’interno di un’abitazione, nascosti da un umano che li protegge. Stripe durante l’azione uccide diversi “parassiti”, ma una volta rientrato alla base riporta dei problemi alla “maschera”, un dispositivo in dotazione a tutti i soldati per migliorarne le prestazioni. Con il progressivo aumentare del malfunzionamento Stripe fa’ una scoperta sconcertante: non solo i “parassiti” in realtà sono umani, ma non hanno neanche commesso nessun crimine. La guerra che sta conducendo Stripe perciò non ha motivo, se non quello di assecondare un genocidio del governo nei confronti di essere umani fisicamente più deboli, omosessuali e dal QI più basso, e per questo ritenuti non adatti. Qui Black Mirror assume una posizione politicamente ben precisa, con una denuncia chiaramente anti militarista, che sembra voler mettere a nudo l’insensatezza e la cattiveria dei conflitti bellici più o meno recenti. Sullo sfondo ancora una volta le innovazioni tecnologiche, in questo caso mirate a controllare ed ingannare le persone. Un po’ per il messaggio di cui si fa’ portatore, un po’ per la fattura, Gli Uomini E Il Fuoco è un ottimo episodio.

L’agghiacciante scoperta pone Stripe di fronte ad una scelta terribile.

Per l’episodio finale Brooker sceglie una prospettiva inedita per la serie, ossia l’indagine poliziesca. Sempre molto inglese e misurata nei toni, Odio Universale, si focalizza sulle indagini di due detective glaciali e nemmeno troppo simpatiche, Karin Parke e Blue Colson, che tentano di risolvere il caso Jo Powers, giornalista misteriosamente trovata morta a casa sua. In questo ipotetico futuro, non troppo lontano dal nostro comunque, le api sono quasi completamente estinte, per cui una super azienda informatica crea le IDA, api droni artificiali con lo stesso ritmo biologico delle vere api, per infoltire la popolazione di questi insetti. Si scopre però che proprio una di queste IDA ha ucciso Jo Powers dopo essere stata manomessa da un hacker. Garret Scholes, il burattinaio del complotto, si rivela essere anche il creatore di un hashtag killer, “#DeathTo, il cui scopo è quello di raccogliere i consensi tra gli utenti dei social network per individuare le future vittime, cioè le più odiate del web.

Karin Parke e Blue Colson nella fabbrica delle IDA.

Le intimidazioni, le minacce, le aggressioni psicologiche informatiche tanto in voga oggi sono perciò pesantemente attaccate da Black Mirror in questo episodio. Ma non solo. Se da una parte Garret Scholes viene messo in mostra come il giudice carnefice che sfrutta l’odio a volte insensato del pubblico per premere il grilletto contro qualche personaggio antipatico, dall’altra è la cattiveria e l’ego debordante delle celebrità ad essere demonizzato. La nostra società viene dunque lucidamente descritta come una catena continua di odio che si replica all’infinito. Non sono più i serial killer caricaturali e dall’aspetto spaventoso a popolare gli incubi di Black Mirror, ma sono quelli che si muovono silenziosi e invincibili nella nostra privacy e nei dati sensibili delle aziende che hanno più potere. Il terrore tecnologico è sempre vivissimo. Il taglio investigativo della puntata è vincente e l’idea di usare uno sciame di api artificiali come minaccia tangibile è un fantastico veicolo di suspense. Si conclude qui una scoppiettante terza stagione, capace di toccare argomenti sempre interessanti, allontanando solo a tratti l’ambiguità della serie, che acquista per il momento una direzione più precisa.

Zanini Marco

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