BIENNALE ARTE 2019 58. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE

BIENNALE ARTE 2019

58. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE

VENEZIA, 11.05 – 24.11.2019

La 58. Esposizione Internazionale d’Arte, intitolata May You Live In Interesting Times, si tiene dall’11 maggio al 24 novembre 2019. Il titolo è un’espressione della lingua inglese a lungo erroneamente attribuita a un’antica maledizione cinese, che evoca periodi di incertezza, crisi e disordini; “tempi interessanti” appunto, come quelli che stiamo vivendo.
La 58. Esposizione è curata da Ralph Rugoff, attuale direttore della Hayward Gallery di Londra. Inizia la sua carriera come critico e saggista: tra il 1985 e il 2002 scrive numerosi articoli e diversi scritti per riviste d’arte; pubblica una raccolta di saggi, Circus Americanus (1995), dove esplora fenomeni culturali dell’occidente americano. Nello stesso periodo inizia a lavorare come curatore indipendente.

È aperta al pubblico fino domenica 24 novembre 2019, ai Giardini e all’Arsenale, la 58. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo May You Live In Interesting Times, a cura di Ralph Rugoff, organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta.

La Mostra si articola tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale, includendo 79 partecipantida tutto il mondo.

 

Da parte sua Ralph Rugoff ha dichiarato: «May You Live in Interesting Times includerà senza dubbio opere d’arte che riflettono sugli aspetti precari della nostra esistenza attuale, fra i quali le molte minacce alle tradizioni fondanti, alle istituzioni e alle relazioni dell’ “ordine postbellico”. Riconosciamo però fin da subito che l’arte non esercita le sue forze nell’ambito della politica. Per esempio, l’arte non può fermare l’avanzata dei movimenti nazionalisti e dei governi autoritari, né può alleviare il tragico destino dei profughi in tutto il pianeta (il cui numero ora corrisponde a quasi l’un percento dell’intera popolazione mondiale).»

«In modo indiretto, tuttavia, forse l’arte può offrire una guida che ci aiuti a vivere e pensare in questi ‘tempi interessanti’. La Biennale Arte 2019 non avrà un tema di per sé, ma metterà in evidenza un approccio generale al fare arte e una visione della funzione sociale dell’arte che includa sia il piacere che il pensiero critico. La Mostra si concentrerà sul lavoro di artisti che mettono in discussione le categorie di pensiero esistenti e ci aprono a una nuova lettura di oggetti e immagini, gesti e situazioni. Un’arte simile nasce dalla propensione a osservare la realtà da più punti di vista, ovvero dal tenere in considerazione nozioni apparentemente contraddittorie e incompatibili, e di destreggiarsi fra modi diversi di interpretare il mondo che ci circonda. Gli artisti il cui pensiero parte da questi presupposti, sanno dare significati alternativi a ciò che prendiamo come dati di fatto, proponendo modi diversi di metterli in relazione tra loro e di contestualizzarli. Il loro lavoro, animato da curiosità sconfinata e intelligenza di spirito, ci spinge a guardare con sospetto a tutte le categorie, i concetti e le soggettività che sono dati per indiscutibili. Ci invita a considerare alternative e punti di vista sconosciuti, e a capire che “l’ordine” è ormai diventato presenza simultanea di diversi ordini.»

ARTISTI

MAY YOU LIVE IN INTERESTING TIMES
padiglione centrale Arsenale:
LAWRENCE ABU HAMDAN

1985, Giordania

Definendosi un ‘orecchio privato’, Lawrence Abu Hamdan si concentra sulle politiche dell’ascolto, sull’impatto legale e religioso del suono, sulla voce umana e sul silenzio. La sua pratica è nata dall’esperienza nell’ambito della musica autoprodotta, ma attualmente comprende video, installazioni audiovisive e saggi sonori dal vivo, espressione che l’artista preferisce a lecture performance poiché rispecchia meglio l’intreccio tra voce e contenuto, tra un discorso e le condizioni in cui viene pronunciato. Nelle sue opere tratta la voce umana come un materiale politicizzato, di cui i governi e le aziende che si occupano di dati possono facilmente appropriarsi.

NJIDEKA AKUNYILI CROSBY

1983, Nigeria

I dipinti di Njideka Akunyili Crosby ne rispecchiano l’esperienza di membro della diaspora nigeriana contemporanea, mostrando una specifica identità culturale e nazionale che a molti risulta sconosciuta, benché sia estremamente familiare a chi ha seguito un percorso simile. Emigrata negli Stati Uniti da adolescente per studiare, l’artista si muove con sicurezza (anche se, forse, non senza un attrito interiore) tra vari contesti estetici, intellettuali, economici e politici, e sono lo scontro e il disallineamento di tali contesti a dare alle sue opere tensione e intensità.

L’artista dipinge ritratti e interni domestici in cui in genere compaiono lei stessa e la sua famiglia. Le scene sono piatte e allo stesso tempo molto profonde, grazie a porte e finestre che si aprono su luoghi diversi, mentre gli spazi rappresentati sono indeterminati; alcuni dettagli, per esempio un termosifone in ghisa, suggeriscono un clima rigido (come quello di New York, dove l’artista ha vissuto per un periodo), mentre altri, come una lampada a cherosene posata su un tavolo, sono ricordi legati alla Nigeria di Akunyili Crosby.

HALIL ALTINDERE

1971, Turchia

Attraverso video, fotografie, installazioni e dipinti, Halil Altındere esamina la politica della quotidianità. Attento osservatore dei meccanismi sociopolitici e del modo in cui invadono lo spazio degli individui, l’artista sfrutta spesso gli stessi mezzi con cui le istituzioni degli stati-nazione impongono l’autorità e circoscrivono la diversità. L’artista si appropria di carte d’identità, francobolli, banconote, prime pagine di quotidiani, slogan militaristi e immagini di leader politici per rovesciare la manipolazione e la normalizzazione sociale o politica.

Di origine curda e cresciuto durante l’apice del conflitto turco-curdo, Altındere tratta poi la tematica dell’abbandono e dei maltrattamenti subiti dalle minoranze in varie opere. Inoltre negli ultimi anni si è occupato della crisi globale dei migranti in diversi lavori, tra cui Space Refugee (2016), una serie ispirata agli incontri tra l’artista e Muhammed Ahmed Faris, il primo e unico cosmonauta siriano, che nel 1987 viaggiò nello spazio come membro di una spedizione sovietica.

MICHAEL ARMITAGE

1984, Kenya

I dipinti di Michael Armitage intrecciano molteplici trame narrative ambientate in un punto imprecisato tra una realtà fantastica e il caos politico della vita moderna. Da attento osservatore delle complesse dinamiche sociali, usa il linguaggio della pittura narrativa per sovvertire i codici convenzionali della rappresentazione. Ponendo l’accento su problemi di disuguaglianza e incertezza politica, i suoi vividi tableaux celano, al di sotto della bellezza pittoresca, una realtà sinistra in cui il collidere di dettagli sontuosi e di colori vibranti apre uno scorcio sui costumi sociali e sulle ideologie politiche che governano la vita quotidiana a Nairobi.

KORAKRIT ARUNANONDCHAI

1986, Thailandia

Muovendosi tra performance, video e installazione, Korakrit Arunanondchai crea un luogo in cui famiglia, superstizione, spiritualità, storia, politica e arte si intrecciano. Le sue gallerie vengono allestite come spazi dedicati alla potenzialità e all’incontro. In tempi recenti, l’artista ha costruito delle foreste misteriose, l’habitat naturale di creature simili a topi che potrebbero sopravvivere all’Antropocene. La serie interconnessa with history in a room filled with people with funny names ha avuto inizio nel 2013. Il personaggio principale ricorrente, un immaginario pittore thailandese, compare in situazioni che riflettono l’interazione tra le credenze tradizionali, l’ambiente naturale e gli sviluppi tecnologici, politici e culturali di una Thailandia in mutamento. L’installazione scultorea esposta nel Padiglione Centrale è composta da una serie di forme ‘post naturali’ che ricordano degli alberi mentre l’Arsenale ospita un’installazione su tre schermi realizzata con Alex Gvojic (1984, Stati Uniti).

ED ATKINS1982, Regno UnitoEd Atkins compie ogni tipo di circonvoluzione nell’ambito dell’autoritratto. Scrive profezie tanto intime ed ellittiche da risultare scomode, disegna caricature orribili e crea video digitali realistici in cui spesso compaiono figure maschili in preda a incomprensibili crisi psichiche. All’Arsenale l’installazione Old Food (2017-2019) è carica di storicità, malinconia e stupidità; con quest’opera, Atkins allarga il proprio territorio emotivo, mitigando la commovente rappresentazione autobiografica grazie a citazioni e questioni di più ampio respiro.I disegni che compongono Bloom (numerati da uno a dieci ed esposti al Padiglione Centrale) raffigurano invece tarantole che scendono da mani esitanti o sono appoggiate su un piede in posa; al posto dell’addome, presentano la testa rimpicciolita di Ed Atkins che, avvolta da peli di ragno, infrange la quarta parete e ci fissa.

TAREK ATOUI1980, LibanoLa pratica di Tarek Atoui, che unisce musica e arte contemporanea, amplia il concetto dell’ascolto attraverso performance sonore partecipative e collaborative. Influenzato dal lascito degli open form ideati dagli artisti degli anni Sessanta del secolo scorso, che estesero la comprensione della musica avvicinandola all’ambito dell’arte visiva, Atoui concepisce e allestisce ambienti complessi in cui coltivare il suono. Attraverso installazioni, performance e collaborazioni, scompone le aspettative legate alla performance – dal punto di vista sia del performer sia del pubblico –, proponendo modalità molteplici (visiva, uditiva e corporea) con cui fruire dell’esperienza.

DARREN BADER1978, Stati UnitiLa produzione di Darren Bader esplora una notevole gamma di tematiche, che spaziano dalla condizione ontologica dell’oggetto artistico all’influenza culturale di internet, dalla storia del ready-made al ruolo giocato dal linguaggio nell’arte concettuale, dal capitalismo consumistico globale al mercato dell’arte del XXI secolo, dal divino all’abietto. Per la Biennale Arte 2019, ha sviluppato un’opera di realtà aumentata fruibile grazie a un’app digitale. L’opera – il cui raggio d’azione copre l’Arsenale e il Padiglione Centrale, ma non solo – si intitola Scott Mendes’s VENICE! e aggiunge un ulteriore livello di realtà (o di irrealtà) alla città di Venezia, un luogo già di per sé saturo di informazioni estetiche, storiche e sensoriali rivolte alle folle di visitatori che la visitano ogni anno.

NAIRY BAGHRAMIAN1971, IranNairy Baghramian considera la scultura come una creatura ibrida e fonde forme meccaniche e antropomorfe per creare opere che suscitano perplessità. È difficile inquadrare gli oggetti realizzati dall’artista, che non sono completamente meccanici né del tutto corporei. Dwindlers, una serie di appendici di vetro disposte lungo il corridoio esterno dell’Arsenale, solleva una domanda: “Che cosa stiamo guardando, un ammasso di condotti per l’aerazione o un intestino mostruoso? Ornamenti decorativi o una struttura danneggiata?”.Nel Padiglione Centrale l’artista espone invece Maintainers (2019), un collage di elementi scultorei interdipendenti uniti da un assemblaggio serrato (alluminio non trattato e pressofuso, stretto tra forme di cera sorrette da una sbarra di sughero e supporti laccati). Solido e ostinato, questo collage di forme anima una tensione dinamica tra supporto materiale e attacco: senza il sughero e i sostegni laccati, l’opera potrebbe crollare.NEÏL BELOUFA1985, FranciaNeïl Beloufa – la cui opera spazia tra film, sculture e installazioni – ha trascorso gran parte dell’ultimo decennio a meditare sulle implicazioni legate alla comprensione della realtà e della sua rappresentazione. La sua arte rifiuta di adottare una qualunque posizione di autorità; è insieme acuta nell’osservazione e discreta in ciò che comunica. L’artista prende sempre le distanze dalle proprie asserzioni quasi stesse dicendo allo spettatore: “Adesso è un problema tuo, sbrigatela da solo”.Per esempio, per guardare i video di Global Agreement (2018-2019), esposta all’Arsenale, lo spettatore deve sedersi su strutture simili ad attrezzi da palestra, che sono scomode e limitano i movimenti; lo spazio è poi configurato in modo che ogni spettatore possa osservare tutti gli altri mentre si osservano a vicenda: tu puoi anche guardare il video, ma c’è sempre qualcuno che guarda te.

ALEXANDRA BIRCKEN1967, GermaniaLa pratica di Alexandra Bircken ruota intorno alla forma umana e le sue opere sfruttano un’inconsueta gamma di materiali che spaziano da elementi artificiali, come silicio, collant di nylon, armi e ingranaggi, a materiali organici tra cui lana, cuoio, rami e frutta essiccata. Spogliati dello scopo originario, vengono assemblati in composizioni straordinarie e non rassicuranti; ogni opera è animata da tensioni contrastanti.All’Arsenale l’artista espone

ESKALATION (2016): un’installazione dinamica, viscerale e apocalittica, che propone una possibile visione distopica della fine dell’umanità.Nel Padiglione Centrale, Bircken presenta sei opere che intrecciano tematiche di genere, potere e vulnerabilità, l’animale e la macchina. Si tratta di lavori che evocano la nostra vulnerabilità, la nostra fisicità e gli strumenti carichi di tracotanza che creiamo per proteggerci dal mondo esterno e gli uni dagli altri.

CAROL BOVE1971, SvizzeraLa scultura di Carol Bove stravolge completamente le linee nette e pulite del Modernismo; la sua sintassi formale è infatti un linguaggio esperto fatto di curve, ammaccature, torsioni, increspature, grinze e altre pieghe che animano la superficie scultorea. L’artista ha definito tali opere ‘sculture-collage’, un tipo di attività che esplora una tensione produttiva tra l’elemento realizzato a livello industriale e quello trovato per caso, tra l’obsoleto e ciò che è appena stato creato. La frizione fisica tra i materiali utilizzati è accesa da un’audace e vivace gamma di rossi, gialli, rosa e verdi, posta in un contrasto dinamico con l’acciaio grezzo e non trattato. Il finish lucido delle vernici si unisce alla materialità dura e sbiadita degli objets trouvés, ed è così che il colore della superficie crea l’illusione che i tubi d’acciaio siano fatti di una sostanza morbida e malleabile. Le abili curve, pieghe e torsioni di Bove esigono un approccio cinestetico da parte dello spettatore: costringono corpo, occhi e mente a spostarsi e muoversi, a circumnavigare l’opera. Se tali oggetti raccontassero delle storie, queste parlerebbero di movimento e pressione, forza e morbidezza.

CHRISTOPH BÜCHEL1966, SvizzeraIl 18 aprile 2015, nel canale di Sicilia, avvenne il naufragio più tragico nella storia del Mediterraneo, a 96 chilometri dalla costa libica e a 193 chilometri a sud di Lampedusa. Vi furono solo 28 superstiti e vennero date per disperse tra le 700 e le 1100 persone.Il peschereccio – acquistato da trafficanti libici – era carico di centinaia di migranti, quasi tutti rinchiusi nella stiva e nella sala macchine, quando si scontrò con un mercantile portoghese che stava tentando di soccorrerlo. La barca affondò per l’incompetenza del capitano, trascinando negli abissi quasi tutto il suo carico umano.Dopo la tragedia, il governo italiano decise di recuperare il relitto ed esaminare i resti delle vittime, per stabilirne l’identità e consentire alle autorità di informare le famiglie. Il 30 giugno 2016, la Marina Militare italiana recuperò il peschereccio dal fondale per trasportarlo alla base navale di Melilli, dove ebbero inizio l’estrazione e l’identificazione dei corpi ancora imprigionati. Nell’ottobre del 2016, Matteo Renzi propose di portare il relitto a Bruxelles e invitò l’Europa ad assumersi la responsabilità dello “scandalo di una migrazione” in modo che non si ripetessero più simili tragedie. Nel maggio del 2018, a Palermo, un’iniziativa a sostegno dei migranti lanciò una petizione proponendo un corteo con il relitto, come un cavallo di Troia che avrebbe valicato i confini nazionali europei lottando in favore del diritto umano alla libera circolazione.Barca Nostra, un monumento collettivo e commemorativo alla migrazione contemporanea, non è dedicato solo alle vittime e alle persone coinvolte nel suo recupero, ma rappresenta anche le politiche collettive che causano questo tipo di tragedie.

LUDOVICA CARBOTTA1982, ItaliaLa poliedrica produzione artistica di Ludovica Carbotta comprende scultura, disegno, performance, architettura e scrittura. È interessata all’esplorazione fisica dello spazio urbano tramite quella che definisce “fictional site specificity”: inventa luoghi immaginari o inserisce luoghi reali in contesti di fantasia, recuperando il ruolo dell’immaginazione come mezzo di costruzione del sapere. Negli ultimi anni ha lavorato a un progetto su larga scala suddiviso in capitoli e intitolato Monowe, il nome di una città immaginaria abitata da una sola persona. Partendo dal punto di vista e dalle esperienze dell’unico/a abitante di Monowe e della sua possibile accettazione delle condizioni della città, Carbotta esplora l’isolamento come uno stato che porta ad abbandonare tutte quelle norme, regole e logiche date per scontate dalla società

E ancora: ANTOINE CATALA, IAN CHENG, GEORGE CONDO, ALEX DA CORTE, JESSE DARLING, STAN DOUGLAS, JIMMIE DURHAM, NICOLE EISENMAN, HARIS EPAMINONDA, LARA FAVARETTO, CYPRIEN GAILLARD, GAURI GILL, DOMINIQUE GONZALEZ-FOERSTER, SHILPA GUPTA, SOHAM GUPTA, MARTINE GUTIERREZ, RULA HALAWANI, ANTHEA HAMILTON, JEPPE HEIN, ANTHONY HERNANDEZ, RYOJI IKEDA, ARTHUR JAFA e tanti altri ancora….ARSENALEMAR – DOM10.00 – 18.00VEN – SAB FINO AL 5/1010.00 – 20.00GIARDINIMAR – DOM10.00 – 18.00PADIGLIONE CENTRALE / ARSENALEINGRESSO CON BIGLIETTO

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