Berlusconi ascesa e discesa di un politico chiacchierato (decima parte)

Berlusconi ascesa e discesa di un politico chiacchierato

“La guerra di Segrate”

Nel 1988 Berlusconi, che possedeva un piccolo pacchetto azionario della Mondadori, ispirato dal suo amico Bettino Craxi, tentò la scalata alla casa editrice di Segrate.

La Cir di De Benedetti, che era l’azionista di maggioranza, aveva stretto un accordo con gli eredi Mondadori, Cristina e i figli Luca, Pietro, Silvia e Mattia, promettendo l’acquisizione delle loro quote, ma questi però, ritrattarono l’intesa con l’ingegnere e cedettero le quote al cavaliere, per sdebitarsi del salvataggio economico di Rete 4, in grande difficoltà, di cinque anni prima.

Nel gennaio del 1990 Berlusconi diventò presidente del grande gruppo editoriale, che all’epoca oltre ai libri, pubblicava Repubblica, Panorama, Epoca, Espresso e parecchie testate locali.

Ma la Cir, sentendosi defraudata, chiese il parere di un arbitrato che risolvesse la controversia.

Il 21 giugno 1990 tre arbitri superpartes decisero di assegnare alla Cir di De Benedetti le azioni della Mondadori, in mano alla famiglia Formenton (Cristina Mondadori era la vedova di Mario Formenton) come da accordi precedentemente presi.

Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti

Gli eredi di Mondadori e, naturalmente, Berlusconi non si diedero per vinti e il 10 luglio impugnarono il lodo e si rivolsero alla Corte d’appello di Roma. Il 24 gennaio 1991 venne nominata la prima sezione Civile presieduta da Arnaldo Valente, con Vittorio Metta giudice relatore.

Ancora prima che venisse emessa la sentenza, le voci su un ritorno alla presidenza della Mondadori da parte di Berlusconi, si rincorsero freneticamente, ed in effetti il lodo venne annullato ribaltando la decisione dell’arbitrato e restituendo la casa editrice al cavaliere meneghino.

Licio Gelli e Craxi accolsero il verdetto con estrema soddisfazione, contrariando invece Andreotti che non vide di buon occhio la concentrazione di mass media nelle mani di Berlusconi, e di conseguenza di Craxi.

Il buon Giulio, da fine tessitore di trame, incaricò il suo amico e camerata, il “re delle acque minerali”, Giuseppe Ciarrapico (che nel 1996 verrà condannato per bancarotta fraudolenta in merito al crack del Banco Ambrosiano) di mediare tra i due contendenti restituendo alla Cir “Repubblica”, “L’Espresso” e le testate locali, mentre Berlusconi riprese il controllo del gruppo editoriale più i settimanali Panorama, Epoca e qualche rotocalco femminile.

Giuseppe Ciarrapico

Nella calda estate del 1995 una, bella ed elegante, signora milanese decise di raccontare una storia molto delicata, ma anche talmente interessante che il magistrato Francesco Greco, per ascoltare la deposizione, decise di rientrare anzitempo dalla Sardegna dove si trovava in ferie.

Stefania Ariosto

La donna in questione era Stefania Ariosto compagna, all’epoca, dell’avvocato Vittorio Dotti consulente della Fininvest e numero due di Forza Italia.

Stefania Ariosto, dopo qualche giorno di comprensibile timore e reticenza, diventò un fiume in piena rivelando aspetti e circostanze di una parte del mondo corrotto delle toghe sporche romane. Fece nomi e raccontò fatti circonstanziati, accaduti alla fine degli anni ottanta, dove erano coinvolti amici di abituali frequentazioni.

Tutto orbitava attorno all’avvocato Cesare Previti, e il suo salotto era il luogo abitualmente frequentato da magistrati e giudici, e Stefania Ariosto fu testimone di passaggi di buste di denaro da Previti a Squillante avvenuti alla fine degli anni ottanta.

L’allegra brigata in crociera. Previti, Berlusconi, Stefania Ariosto, Vittorio Dotti.

Squillante distribuiva a sua volta il denaro verso altri colleghi.

Il salotto di Previti era un “parterre de rois” con Renato Squillante, Corrado Carnevale, Filippo Mancuso (Ministro della Giustizia), Antonio Brancaccio, Arnaldo Valente, Filippo Verde, Roberto Napolitano, Carlo Guglielmo Izzo, e d altri ancora.

Cesare Previti, sempre secondo la dichiarazione della Ariosto, le confidò di aver pagato molti magistrati in cambio di favori, considerata una normale consuetudine a Roma, e di aver comprato con i soldi di Berlusconi la sentenza che riguardava l’acquisizione della Mondadori.

Si scoprì che Berlusconi aveva messo a disposizione di Previti un fondo continuo presso l’Efibanca, e che era solito omaggiare le mogli dei magistrati con gioielli di valore acquistati dai fratelli Eleuteri.

Cesare Previti negò risolutamente l’affermazione dell’Ariosto di un suo conto estero, salvo essere smentito dall’indagine del procuratore Carla Del Ponte. La banca era la Darier Hentsch di Ginevra e il conto era: “H 8545 Mercier”. Su quel conto si riversarono, dal 1991 al 1993, 17 miliardi provenienti da “All Iberian” di Berlusconi

Previti era considerato l’avvocato degli “affari illeciti”.

Cesare Previti

La testimonianza di Stefania Ariosto fece partire l’indagine che accertò la responsabilità di Berlusconi nel caso Mondadori.

Il pool di Milano, presieduto da Saverio Borrelli, decise di far partire le indagini per appurare la fondatezza delle affermazioni della Ariosto.

Francesco Greco raccolse le prima testimonianze, ma poco dopo gli subentrò, la risoluta e pervicace, Ilda Boccassini, appena rientrata a Milano, dopo essersi occupata di mafia in Sicilia.

Ilda Boccassini

Il magistrato ricorse al supporto della Sco (servizio centrale operativo della Polizia), avvalendosi sia dei tradizionali pedinamenti, di microspie, telecamere e intercettazioni telefoniche.

Nel mese di gennaio del 1996 Squillante scoprì la presenza di una microspia mentre si trovava in un bar di Roma in compagnia di alcuni colleghi magistrati. Molto preoccupato ricorse a tutte le sue conoscenze per cercare di capire chi ci fosse dietro a quel tentativo di intercettazione. Ma il velo di riserbo fu spesso ed impenetrabile, vennero contattati direttamente anche i magistrati del pool di Milano che naturalmente negarono recisamente il loro coinvolgimento.

Renato Squillante

Come in un film di spionaggio, Squillante e il suo braccio destro Attilio Pacifico, vennero pedinati e ascoltati continuamente anche durante i loro incontri furtivi e nascosti.

Pacifico faceva uso anche di un cellulare GPS con un contratto stipulato a Montecarlo, che rallentò le indagini per le difficoltà di ottenere veloci rogatorie.

Sentendo odore di bruciato, Squillante mandò il figlio Fabio, accompagnato dalla moglie Olga Savtchenko, in Svizzera, a prelevare il denaro custodito nei forzieri della Società Bancaria Ticinese.

Il primo conto estero di Squillante risale al 1982, e fu aperto alla Sbt di Bellinzona. Come un crescendo rossiniano seguirono società di Panama dove erano custoditi parecchi conti correnti. Le più importanti erano la Rowena Finance Sa, la Forelia Sa e la Iberica Develpment Co.

I magistrati fecero un lavoro certosino incrociando i dati dei tabulati bancari, passando al setaccio tutti i bonifici effettuati dagli indagati.

Venne fuori che nel 1991 da un conto chiamato “Ferrido” un bonifico prese la strada verso il Mercier di Previti e da questo a sua volta verso Rowena di Squillante.

Di chi fosse “Ferrido” lo si venne a sapere nel 1997, quando il cassiere della Fininvest Giuseppino Scabini ingenuamente se ne assunse la paternità.

Si chiuse il cerchio. Berlusconi pagava Previti che a sua volta pagava Squillante.

Lo stesso sistema venne adottato, sempre nel 1991, per far giungere i soldi su un altro conto: “811 Masters”, appartenente al giudice Filippo Verde, frequentatore del salotto di Cesara Previti, anche se questa volta il bonifico partì da “All Iberian”di Berlusconi. Filippo Verde è stato il giudice della discussa sentenza Sme.

I magistrati del pool l’11 marzo 1996 decisero di stringere i tempi e partirono alla volta di Roma per arrestare Squillante e l’avvocato Pacifico.

Attilio Pacifico

Il pool ricostruì il percorso tortuoso delle mazzette che servirono a Berlusconi per comprare la sentenza che gli consegnò la Mondadori.

Il 14 febbraio 1991 sul conto “Mercier” di Previti arrivò un bonifico di tre miliardi di lire provenienti da “All Iberian”, dopo pochi giorni un bonifico di un miliardo e mezzo ripartì da “Mercier” con destinazione “Careliza Trader”(il conto nascosto di Giovanni Acampora), dal quale il primo ottobre una tranches di quattrocentoventicinque milioni ritornò a “Mercier” di Previti che nuovamente si rimise in viaggio, divisi in due quote, verso il conto “Pavoncella” di Attilio Pacifico. Ma il tour non era ancora finito, perché quattrocento milioni presero la strada per l’Italia il 17 ottobre in contanti.

Il destinatario era ignoto, in quanto mancavano prove certificate, ma gli inquirenti sono sicuri che fosse il giudice Vittorio Metta, che prima di dimettersi dalla Magistratura e iniziare a lavorare, assieme alla figlia, presso lo studio dell’avvocato Cesare Previti, trovò casualmente il tempo per acquistare una casa e una Bmw nuova fiammante per una spesa di quattrocento milioni.

il giudice Vittorio Metta

Il giudice pressato dalle domande dei magistrati non riuscì a dare una spiegazione plausibile sulla provenienza del denaro.

Il pool scoprì inoltre un particolare che sollevò parecchi dubbi: l’eccessiva ed innaturale velocità nell’esporre le motivazioni della sentenza Mondadori del 1991.

Quasi 170 pagine, manoscritte, depositate un giorno dopo la sentenza parvero una impresa impossibile, specialmente per Metta che abitualmente ci impiegava un paio di mesi per relazioni molto più corte.

A tutti fu chiaro che le motivazioni fossero state scritte prima della sentenza.

Berlusconi, Previti, Metta, Pacifico ed Acampora vennero rinviati a giudizio nel 1999, ma un anno dopo furono tutti prosciolti.

Nel 2007 la Cassazione riconobbe la colpevolezze di Previti, Metta, Pacifico ed Acampora condannandoli. Berlusconi con la solita prescrizione in tasca la fece franca per l’ennesima volta.

Nel settembre del 2013 la Corte di Cassazione stabilì che Berlusconi dovesse risarcire la Cir di De Benedetti con quattrocentonovantaquattro milioni di euro al netto degli interessi, riconoscendo “la responsabilità del fatto corruttivo imputabile anche al dott. Berlusconi”, ed inoltre venne rilevato che l’avvocato Previti doveva ritenersi organicamente inserito nella struttura aziendale della Fininvest e non occasionalmente investito di incarichi legali conseguenti alle incombenze demandategli”, ed inoltre “anche l’attività di corruzione di alcuni magistrati, allo scopo di conseguire illeciti vantaggi” per la Fininvest.

Anche questa volta la prescrizione salvò Berlusconi.

Alberto Zanini

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