Autopsy – L’indagine orrorifica autoptica di André Øvredal funziona solo a metà.

1Autopsy

 

Anno: 2016

Titolo originale: The Autopsy Of Jane Doe

Paese di produzione: USA

Genere: orrore

Regia: André Øvredal

Produttore: Fred Berger, Eric Garcia, Ben Pugh, Rory Aitken

Cast: Emile Hirsch, Brian Cox, Olwen Kelly, Ophelia Lovibond, Michael McElhatton, Parker Sawyers, Jane Perry, Mary Duddy, Mark Phoenix, Sydney, Yves O’Hara

 

In una casa a Grantham, Virginia, è avvenuto un duplice omicidio. Morti violente con tanto sangue. In cantina viene rinvenuto un altro cadavere, una ragazza che non da segni di vita ma allo stesso tempo non presenta segni di aggressione. Il suo corpo non ha alcuna ferita. E’ chiaramente morta, ma non se ne riesce a stabilire la causa. Viene perciò mandata nello studio legale dei Tilden, dove operano Tommy assistito dal figlio Austin. Anche i due notano con stupore l’integro cadavere della Jane Doe. Tuttavia, durante l’esame esterno e l’autopsia emergono particolari sempre più strani ed inquietanti che rendono ancora più confusi i trascorsi della ragazza. Contemporaneamente nel laboratorio avvengono strani fenomeni e all’esterno si scatena una tempesta di proporzioni bibliche che rinchiude i due protagonisti.

C’era una volta il cinema dell’orrore, quello che sa veramente spaventare, quello che si prende poco sul serio e quello di bassa lega. Un genere che può vantare le sue tante sfaccettature. Quello a cui assistiamo nella prima metà di Autopsy sa veramente spaventare. Il clima di inquietudine e profondo terrore che si crea nello studio legale Tilden in questa fase è veramente angosciante e di grandissima suspense. Il regista André Øvredal si dimostra estremamente capace nell’infondere questo senso di minaccia e la paralisi da paura corre immediatamente sulla schiena dello spettatore con un brivido glaciale. E’ una miscela di magistrale uso delle luci e delle inquadrature, in cui la tensione, retta molto bene da Brian Cox (l’Hannibal Lecter di Manhunter – Frammenti Di Un Omicidio) ed Emile Hirsch, segue in profondità l’esplorazione interna della sconosciuta, scrigno di indizi terrificanti. Il senso del macabro poi è reso così bene dalle interiora e dai cadaveri riprodotti che potrà causare qualche scompenso ai più sensibili. Ottimo anche il lavoro sui personaggi sempre in questi primi momenti del film. Per una volta infatti non ci troviamo di fronte a dei liceali idioti, ma ad un padre che con il figlio esegue autopsie in maniera realistica e precisa, fornendo ad Autopsy quella sobrietà che non tradisce la provenienza europea del regista. In tutto e per tutto quello che succede fino alla fine del primo tempo suggerisce la visione di qualcosa di finalmente nuovo, intrigante e fatto con una classe cristallina, e questo vale sia per la sceneggiatura che per la regia.

La destabilizzante bellezza macabra di Olwen Kelly.

Con una trama del genere però la caduta di stile è sempre in agguato e nella seconda parte infatti Autopsy scade pesantemente, deludendo le grandi aspettative. Forse era prevedibile, ma è un grande peccato, perché l’opera terza di Øvredal sembrava risplendere di luce propria. Il crollo strutturale della pellicola è così forte che le sensazioni sono due: chi l’ha scritto ha smesso ingiustamente di pretendere o qualcuno ha imposto una linea narrativa completamente antitetica a quella vista in precedenza. Ciò che riguarda ora Autopsy perde totalmente in credibilità esagerando, ricordando e copiando le caratteristiche tipiche del genere, minandone pesantemente anche la logica. Una dietro l’altra si susseguono risvolti inappropriati o inutili, che pur sullo sfondo di una tensione sempre palpabile, relegano il film al b – movie più sciocco. Alla fine permane l’ansia hollywoodiana di un male impossibile da combattere per l’uomo, inaffrontabile e capace di qualsiasi cosa. Una cosa che finchè riguardava Michael Myers faceva certamente la sua bella figura, ma forse sarebbe ora di cambiare il canovaccio. Un plauso sicuramente lo merita la rappresentazione cadaverica di Olwen Kelly, la Jane Doe che senza espressioni riesce a comunicare in ogni fase dell’autopsia qualcosa di tetro e misterioso, permettendo un’indagine interessante su quello che può trasmettere uno sguardo senza vita.
Stilisticamente parlando Autopsy si propone quindi di rinnovare la misticità nel campo dell’orrore, perdendo però la bussola nel finale, evitando suo malgrado di consegnare ai posteri un super cult.

Zanini Marco

2 Risposte a “Autopsy – L’indagine orrorifica autoptica di André Øvredal funziona solo a metà.”

  1. Bella recensione, mi trovo molto d’accordo con cio che hai scritto, in effetti la caduta di stile é davvero notevole viste le potenzialità di questo film.

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