5 maggio 1972 La strage dimenticata di Montagna Longa

5 maggio 1972 La strage dimenticata di Montagna Longa

maria la longaEra una bella serata quella del 5 maggio quando da Roma Fiumicino decollò il volo Alitalia AZ112 con 115 persone tra passeggeri ed equipaggio. Due giorni dopo ci sarebbero state le elezioni, e molti tornavano in Sicilia per votare. Il comandante Roberto Bartoli dopo aver comunicato alla Torre di Controllo di Punta Raisi di trovarsi a sessantaquattro miglia dalla pista, alle 22.18 entrò nel CTR dell’aeroporto dove ottenne l’autorizzazione a scendere a cinquemila piedi, circa millecinquecento metri. Sopra Palermo vi era una leggera foschia a millesettecento piedi di altezza, circa seicento metri, ma su Punta Raisi il cielo era pulito. Alle 22.21 l’ultima comunicazione di Bartoli che riferì di essere sulla verticale della pista, ma pochi minuti dopo, esattamente alle 22.23 un enorme boato infranse il silenzio della sera. Il DC-8 si schiantò con il motore a pieno regime, contro il crinale di Montagna Longa scivolando e spezzandosi sul pianoro accidentato della montagna, mentre il kerosene dei serbatoi prendeva fuoco. I soccorritori, dopo aver percorso faticosi sentieri sterrati, trovarono alcuni corpi integri, altri smembrati, mentre altri corpi ancora furono trovati addirittura sull’altro versante della montagna, quello verso la località di Carini. Delle 115 persone dell’equipaggio non si salvò nessuno.

Quella sera ai comandi del Dc 8 vi era il 1° ufficiale Bruno Dini, il comandante Bartoli era alle comunicazioni radio e agli strumenti, mentre il tecnico di volo Gino Di Fiore si occupava degli impianti di bordo.
Le procedure standard di avvicinamento ed ingresso avrebbero dovuto essere con una direzione sud ovest, in realtà la direzione del relitto fece intendere che l’aereo provenisse dal versante di Carini, con rotta verso est. Qualcuno sostenne che i piloti fossero ubriachi, ma l’esame autoptico, smentì decisamente questa ipotesi. La commissione d’inchiesta presieduta dal generale Lino, con una velocità sorprendente, dopo appena nove giorni concluse che la responsabilità dell’incidente era dei piloti. I pezzi dell’aereo furono rimossi velocemente senza essere analizzati per verificare eventuali tracce di esplosivo a bordo. La scatola nera aveva il nastro di registrazione strappato e non venne mai trovato il registro dove vengono segnalate eventuali anomalie. Nessun dubbio per la commissione d’Inchiesta, ma in realtà molti furono gli interrogativi rimasti senza risposte.
Riesce difficile capire come i due piloti e il tecnico di volo, esperti e con migliaia di ore di volo all’attivo sbagliarono sostenendo di trovarsi sulla verticale della pista illuminata, quando in realtà si trovavano a sette chilometri di distanza al buio della montagna Longa.
Un aeroporto che si trova dove non avrebbe mai dovuto esserci. Montagne e scirocco creano vortici micidiali venendo meno le condizioni di sicurezza, inoltre la strana conformità dei rilievi distorcevano il segnale del radiofaro dell’aeroporto. Infatti spesso i voli venivano dirottati verso Catania o Trapani quando le situazioni ambientali erano problematiche. Ma la politica, e la mafia, non volle sentire ragioni, e l’aeroporto fu ugualmente costruito. Sommiamo anche le carenze tecniche e le strumentazioni obsolete o addirittura mancanti e il gioco parrebbe fatto. Il 26 gennaio 1972 avvenne anche lo spostamento del radiofaro PAL dall’aeroporto di Punta Raisi verso il monte Gradara a sedici chilometri di distanza e non tutti i piloti ne erano a conoscenza. Il precedente volo di Bartoli verso Palermo avvenne nel febbraio del 1971, mentre quello di Dini risaliva ad agosto 1969, quindi è ipotizzabile che entrambi non conoscessero la nuova posizione del radiofaro. Probabile quindi che Bartoli si riferisse alla posizione del radiofaro ritenendo ancora in funzione quello di Punta Raisi.
La moglie di Dini ricevette l’offerta da parte di un funzionario dell’Alitalia di una somma di denaro in cambio della rinuncia a procedere nella richiesta di ulteriori indagini che riabilitassero il marito dalla accusa di colpevolezza.
Il processo iniziò nel dicembre del 1981 e dopo i tre gradi di appello, la Cassazione il 4 aprile 1984 confermò la sentenza di colpevolezza nei confronti dei piloti morti nello schianto. Nessuna responsabilità invece venne riconosciuta né al direttore Carignani né alle carenze tecniche dell’aeroporto.
La Procura di Catania si rifiutò sempre di riaprire le indagini richieste negli anni dai parenti delle vittime.
Varie tesi complottiste sono state espresse sulla vicenda. Come quella del vicequestore Giuseppe Pera che sostenne di un attentato organizzato dalla mafia in collaborazione con le frange eversive della destra e i servizi segreti.
Rimane lo sconcerto per la dimenticanza delle istituzioni nei confronti del più grave incidente aereo dell’aviazione civile in Italia con la morte di centoquindici persone.
Sulla montagna rimane solo una croce a ricordo della tragedia.

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