Berlusconi ascesa e discesa di un politico chiacchierato (dodicesima parte)

Berlusconi ascesa e discesa di un politico chiacchierato (dodicesima parte)

Nei primi anni settanta Silvano Larini presentò al suo amico d’infanzia Craxi l’enfant prodige della imprenditoria meneghina: Silvio Berlusconi.

Fra i due nacque un’amicizia solida come il cemento che avrebbe segnato un trentennio della nostra storia.

Il segretario del Psi aiutò Berlusconi, prima nel mondo dell’edilizia e in seguito anche in quella dei media, consapevole che i mezzi d’informazione potevano influenzare l’opinione pubblica ai propri fini.

Craxi
Silvio Berlusconi, Bettino Craxi

Craxi nacque a Milano nel 1934, e a soli 23 anni fece il suo ingresso nel comitato centrale del Psi. In quegli anni giovanili, sebbene si confondesse con la sinistra, da molti compagni era considerato uno di destra.

Nel luglio 1976 fu eletto segretario del Psi al posto di Antonio De Martino, carica che terrà saldamente fino al suo crepuscolo politico del 1993. Sebbene in quegli anni Craxi fu un convinto sostenitore di Pietro Nenni, nel 1979 poco prima di morire il vecchio Nenni confidò ad un amico di essere molto preoccupato dell’indirizzo che il Psi stava prendendo sotto la gestione del giovane delfino.

Craxi e Nenni nel 1979

Nel 1976 conobbe Licio Gelli che fu immediatamente catturato dal “decisionismo” di Bettino e, naturalmente, dal suo fiero anticomunismo.

Il venerabile maestro della P2 nel 1980 disse che considerava Craxi il candidato preferito per la guida del paese.

Infatti nel piano rinascita Gelli auspicava di controllare il potere politico con Craxi, e i media con Berlusconi.

Nel 1979 Craxi voleva riformare la Costituzione suggerendo la riforma Presidenziale come  prevedeva anche Gelli nel suo piano “Rinascita”.

Licio Gelli

Tra il 1980 e il 1981 il Psi di Craxi ricevette da Calvi 7 milioni di dollari sul conto Protezione grazie all’interessamento di Gelli.

Bettino riuscì a coronare il suo desiderio di grandezza diventando il Presidente del Consiglio il 4 agosto del 1983, carica che mantenne fino al 1987, quasi ininterrottamente.

Quando Craxi diventò presidente del Consiglio congelò per tre anni, dal 1983 al 1986, il rinnovo del consiglio di amministrazione della Rai, quando alla fine mise alla presidenza Enrico Manca, un suo pupillo, tessera 864 della P2, sebbene lui abbia sempre smentito l’appartenenza alla loggia massonica.

Enrico Manca e Bettino Craxi

Il controllo della Rai era un degli obiettivi prospettati dal piano propaganda di Gelli.

Fu strenuo oppositore del compromesso storico tra la Dc e il Pci di Berlinguer che emarginava politicamente il Psi relegandolo ad una presenza politica irrisoria.

Con Fanfani manifestò la disponibilità a trattare con le BR durante la prigionia di Aldo Moro, scontrandosi con le forze di governo, compreso il Pc, che sostenevano la ferma irriducibilità dello Stato nel trattare con i brigatisti.

Convinto sostenitore del socialismo libertario piuttosto che il vetusto pensiero marxista, volle modificare anche lo storico emblema socialista mandando in pensione la falce e martello sostituendolo con il garofano.

L’idea era passare dal sobrio partito socialista a quello borghese e amante del lusso e della bella vita.

Erano gli anni della “Milano da bere”, come recitava una famosa pubblicità di quegli anni dell’amaro Ramazzotti.

Nell’ottobre del 1984 rientrò precipitosamente dall’estero per correre in aiuto al suo amico Berlusconi, quando tre pretori spensero il segnale delle tv di Mediaset e in quattro giorni firmò il famoso decreto Berlusconi, che però venne bocciato per incostituzionalità.

Craxi non si diede per vinto e poco dopo lo ripresentò uguale minacciando la caduta del governo se non fosse stato approvato.

Favore che Berlusconi ebbe modo di ricambiare in seguito con sostanziosi finanziamenti sui suoi conti esteri.

Berlusconi è sempre riuscito ad aggirare divieti e limitazioni in genere, e nel campo delle frequenze televisive era imbattibile.

Nel 1991 la Fininvest decise di sostituire l’antenna che sorgeva a Chiampore sulle colline sopra Muggia in provincia di Trieste, con una più potente in grado di far raggiungere il segnale l’Europa orientale.

Il Comune di Muggia rilasciò il permesso senza però aspettare il piano di assegnazione frequenze.

Nacquero forti polemiche anche per l’aumento notevole di inquinamento elettromagnetico già accertato alto con la vecchia antenna.

Ma l’immobilismo è una caratteristica tipica italiana.

Fra proteste, corsi e ricorsi si arriva al 1994, e Berlusconi non ha più bisogno di chiedere un aiuto al suo amico Craxi che nel frattempo è caduto in disgrazia.

Adesso il Presidente del Consiglio è lui, non occorre neanche che intervenga un ministro. L’ingegnere Gigantino, dirigente del ministero delle Poste, firma una disposizione sostenendo che:

“Le emittenti che hanno concessioni regionali ( naturalmente quelle della Fininvest, oltre che la Rai) possono effettuare eventuali spostamenti di antenna che ritenessero necessari purché non creino disturbi alle altre emittenti”. Facile come bere un bicchiere d’acqua.

Sui capitali occorsi a Berlusconi per intraprendere l’attività di costruttore e per dare origine alla Fininvest, ci sono sempre state molte perplessità, e d’altronde il Cavaliere si è “sempre avvalso della facoltà a non rispondere” mantenendo sempre uno stretto riserbo.

Le testimonianze dei fratelli Graviano, rivelate da Gaspare Spatuzza, hanno contribuito a riproporre l’annoso dubbio sulla provenienza dei capitali dalle banche svizzere.

Il conte Carlo Rasini, che in passato tramite la sua banca spesso aiutò Silvio Berlusconi con sostanziose fideiussioni, ha rilasciato una lunga intervista al giornalista Paolo Madron (raccolta nel libro: “Le gesta del cavaliere” Sperling Kupfer del 1994), e a proposito del Cavaliere disse che Berlusconi ha restituito solo l’80%  di quelle somme. <<So come sono andate le cose e a chi appartiene quel 20%, ma non glielo dirò>> concluse sibillino il Conte, lasciando nel dubbio il giornalista.

Sempre Carlo Rasini chiosò alla fine: <<In realtà le città giardino di Berlusconi sono servite a qualche famiglia milanese per far rientrare le valigie di soldi depositate a sua tempo in Svizzera. In fondo quale migliore occasione per far tornare il denaro dal paese degli gnomi e farlo fruttare bello e pulito nelle mani di quel giovanotto che dove tocca guadagna>>

Processo Mediaset

Nasce dall’indagine sulla All Iberian. Alla fine degli anni ottanta furono trovati degli intrecci tra la Silvio Berlusconi Finanziaria e la Century One e la Universal One. Si rilevarono tracce di fondi neri. Il ruolo di protagonista in tutta questa vicenda ha il nome esotico di Frank Agrama, amico di vecchia data di Silvio.

Frank Agrama

Agrama nasce in Egitto, gli piace il cinema e decide di fare il regista, arriva in Italia negli anni sessanta dove gira dei film decisamente b-movie. Decide di andare in America dove fonda una casa di produzione.

Incomincia la collaborazione con Berlusconi che ha bisogno dei film per far andare le sue televisioni. Agrama è l’intermediario di diritti televisivi che Mediaset acquistava attraverso società offshore che rivendevano ad altre società offshore in un giro lezioso dove ad ogni passaggio il prezzo aumentava contribuendo a creare fondi neri. In pratica era sempre Mediaset che ricomprava la stessa pellicola più volte sempre da Mediaset con un sovraprezzo sempre più alto. Un sistema che pare ebbe origine già negli anni ottanta, ma i giudici hanno esaminato il periodo dal 1994 al 1998. Secondo il pm Fabio De Pasquale Berlusconi avrebbe evaso ben 368 milioni di dollari.

Dopo anni di dibattimento con il Cavaliere che si appellò continuamente al legittimo impedimento, e che ricorse anche al Lodo Alfano finché questo non fu dichiarato nell’ottobre 2009 incostituzionale, nel maggio del 2013 arrivò la sentenza definitiva che condannò Berlusconi a 4 anni per frode fiscale di cui 3 però coperti dall’indulto.

Tre anni vennero inflitti al socio occulto di Silvio: Frank Agrama, considerato il vero mandatario dalla procura di Milano.

I giudici avanzarono le perplessità che “non è sostenibile che la società abbia subito truffe per oltre un ventennio senza mai accorgersene” e inoltre “c’è stato un preciso progetto di evasione esplicato in un arco temporale ampio e con modalità sofisticate”.

 

Alberto Zanini

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