Intervista a Federico Longo de “Lamentarsi non serve a niente”, Catartica Edizioni.
Abbiamo da poco recensito “Lamentarsi non serve a niente” edito da Catartica edizioni e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autore.
Ciao Federico grazie per essere passato a trovarci, possiamo darci del tu?
D: Cosa ti ha spinto a scrivere libri?
R: Non saprei. Da ragazzo mi immaginavo gli scrittori, o chiunque avesse a che fare con lavori o produzioni creative, come degli esseri alieni. Nella mia quotidianità non c’era molto spazio per l’espressione del sé, diciamo così. Non a livello narrativo almeno, o più in generale artistico; era proprio un aspetto poco considerato dal contesto, almeno credo. Nel Nord Est, dove sono cresciuto, le priorità erano altre. Nonostante questo verso i quindici sedici anni, grazie soprattutto a un professore di italiano, ho iniziato a leggere un po’ compulsivamente cose a caso, ad andare spesso al cinema etc
Poi una sera ero con un amico a un festival di teatro e ho sentito una lettura di un brano scritto da Trevisan che tra l’altro era là e conosceva questo mio amico. Il brano mi colpì tantissimo e anche il fatto che l’autore fosse un umano, come direbbero le mie figlie. Ci ho scambiato quattro chiacchiere e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto scrivere delle cose e lui mi ha risposto di provare a farlo, del resto che cosa poteva dirmi? Così qualche anno dopo mi sono ricordato di quella sera e ho provato a scrivere un racconto, poi altri racconti e così via. Quando è uscito il primo libro avevo pensato di portargliene una copia, ma poi mi sono vergognato e non l’ho fatto. Comunque la domanda era un’altra e non credo di aver risposto, o forse sì, non lo so.
D: Che rapporto hai con la morte?
R: Non l’ho ancora conosciuta, almeno così pare, quindi anche in questo caso la risposta deve essere per forza evasiva.Prima di scrivere questo libro avevo letto un paio libri che hanno la morte come protagonista e mi erano piaciuti, Cavazzoni (Vite brevi di idioti) e Saramago (le intermittenze della morte) e da là sono partito.
A me pare che in questo momento procediamo molto per imitazione, cioè le cose si fanno e si vivono in un certo modo perché si è sempre fatto così oppure tutti fanno così e così via. Mi pare anche che non riusciamo a considerare una dimensione diversa da quella che viviamo quotidianamente. Non parlo di condizioni metafisiche ma della vita materiale che poi condiziona anche molto il nostro aspetto spirituale. Il cambiamento mi pare sia poco contemplato, soprattutto per chi ha condizioni di vita agiate o posizioni di potere. Continuerebbero a vivere per sempre e per questi la morte è la fine di tutto.
Per gli altri la morte ha un altro significato diverso e ha conseguenze diversi sui vivi, questo per dire che penso ci siano molti tipi di morte alla fine. Viviamo poi nel paradosso in cui l’umanità sta procedendo verso l’estinzione probabilmente, cosa che è da mettere in conto se guardiamo alla storia della Terra, ma gli umani non sembrano molto preoccupati di estinguersi; sono tuttavia molto preoccupati di morire come singoli. Ma non considerano il fatto che se la morte fosse cancellata dal pianeta ci troveremmo in un sacco di situazioni molto spiacevoli, già siamo troppi nel pianeta, se non morisse più nessuno diventerebbe un vero incubo vivere. Ne parla Saramago per esempio nel suo libro, le intermittenze della morte.
D: In che misura la società descritta è distopica da quella attuale?
R: Non penso di aver parlato di una società distopica. Oppure viviamo in una distopia, anche qui il confine è piuttosto labile e si viene costruito nella testa e nelle esperienze di chi legge il libro. Questo libro ha avuto una storia editoriale particolare e un editore che lo voleva pubblicare l’aveva messo nella sua collana umoristica. Secondo me il più grande pregio di un libro è quello di avere diversi piani di lettura. Lo spicchio di mondo in cui ci troviamo a vivere è in continua regressione rispetto alle libertà, ai diritti etc in generale le condizioni di vita mi pare siano sempre più difficili. La cosa preoccupante è che, secondo me, le forme di resistenza sono sempre più deboli, siamo più concentrati a sopravvivere che a trovare una dimensione politica. Il personale è sempre meno politico.
D: Cosa pensi di Mario? Quali critiche potresti fargli o quali consigli vorresti dargli?
R: Mario è sparito e non si farà più vedere. Ha fatto le sue scelte frutto più di deliri personali che di scelta politica, ma anche questo non lo saprei dire con certezza. Non sono in grado di dare consigli a nessuno, il giudizio rimane sospeso su Mario come su molte altre cose. Credo che non sia sempre necessario avere qualcosa da dire o un pensiero sulle scelte che fanno gli altri, soprattutto quando sono così estreme.
D: Secondo te possono esserci strategie risolutive alternative a quella applicata da Mario?
R: Non ne ho la più pallida idea. In questo momento, come ho detto poco fa, non mi pare che siamo in grado di trovare strategie risolutive. Anche perché dovremmo metterci d’accordo su cosa dobbiamo risolvere. Ecco, questo potrebbe essere un esercizio interessante. Capire davvero cosa vogliamo. Io ti direi, citando Balestrini, Vogliamo tutto, ma forse pure quella visione ormai ci porterebbe verso il baratro. Se è vero, come ho detto all’inizio, che procediamo un po’ per imitazione anche i desiderata tenderebbero all’omologazione che mi pare una delle questioni che ci rende così asserviti a determinati poteri. Così ci vogliono, così siamo.
D: A quale personaggio ti rappresenta maggiormente?
R: Francamente ho messo un po’ di me in tutti. Poi non necessariamente le altre persone vedono in me quelle caratteristiche, cioè voglio dire che la percezione che abbiamo di noi è diversa da quello che poi traspare; è banale ma a volte ce lo dimentichiamo. Poi devo dire che non mi piace scrivere di me. O meglio, non penso che sia così interessante, anzi penso sia davvero una rottura di palle enorme per chi legge. Questo per dire che i personaggi hanno vita propria nel momento della scrittura. Finito il libro per me possono anche morire oppure è come se non fossero mai esistiti. Sono funzionali a una narrazione, alla creazione di un ambiente, di atmosfere, di un libro.
Se arrivo a 100 anni forse scriverò,” Come si arriva a 100 anni” e parlerò di me e quel personaggio mi rappresenterà, ma non credo succederà.
D: Cosa pensi dei Coach e dei motivatori?
R: Penso che non ci ho mai avuto a che fare e che sono molto contento così. Penso che non vorrei avere nulla a che fare con un coach. L’unico coach che riconosco è quello che siede in panchina del VeneziaMestre.
D: Il tuo scrittore preferito?
R: Cambia a seconda dei periodi. In questo periodo sto leggendo autori del Nord Europa, quindi dico Knut Hamsun.
D: Se dovessi consigliare un libro, quale nomineresti/suggeriresti e perché?
R: Dico Lunario del Paradiso di Celati perché fa molto ridere.
D: Ci sarà un seguito a questo libro?
R: Per il momento no, sto scrivendo un libro di racconti che non hanno nulla a che fare con Lamentarsi non serve a niente.
Grazie a Federico Longo per la disponibilità, arrivederci a presto sulle pagine de I gufi narranti
Sabina Bernardis