Intervista a Ivana Tomasetti – “Storie di confine” (Ciesse)
Abbiamo da poco recensito “Storie di confine” (Ciesse) di Ivana Tomasetti e abbiamo ora il piacere di scambiare quattro chiacchiere con lei per approfondire i temi principali del suo ultimo libro.
Buongiorno Ivana Tomasetti, grazie per aver accettato di chiacchierare con noi. Mi permetto di darti del tu se per te, ovviamente, non è un problema:
- È la prima volta che ti recensiamo e che quindi abbiamo il piacere di intervistarti. Ti va di raccontarci qualcosa di te in modo da poterti conoscere meglio?
Nessun problema, è un piacere anche per me! Sono una trentina trapiantata in Lombardia e qui ho trascorso gran parte della mia vita, con mio marito e mio figlio, tornando ai monti durante l’estate. L’insegnamento è stata la mia prima passione e insieme a quella, la lettura e la scrittura. Oggi il tempo libero mi permette di dedicarmi alla ricerca storica e talvolta mi imbatto in racconti che mi appassionano e che vale la pena di ricordare, perché nascosti e dimenticati.
- “Storie di confine” è un libro davvero emozionante e coinvolgente. Ci porta a fare i conti con storie davvero struggenti. Come ti è venuta l’idea di scrivere questo romanzo?
Vi ringrazio dei complimenti, avere un riscontro fa pensare che le parole che ho scritto abbiano un significato anche per chi si accosta per la prima volta ai miei libri. L’idea mi è venuta studiando i fatti relativi alla Prima Guerra Mondiale; avevo trovato in un testo la biografia di Celso Costantini, che aveva raccolto i “Figli della guerra” in un asilo di suore. Chi erano questi bambini? Perché diventavano sempre più numerosi? Dovevo approfondire, trovare notizie. Man mano che scavavo, mi rendevo conto che era una storia dimenticata. In altre fonti avevo trovato che gli orfani, diventati grandi, cercavano i loro parenti; negli annali dell’Istituto erano segnate le spese e i benefattori. Mi trovavo in mezzo a intrecci di sofferenze che andavano digerite ed edulcorate.
- Immagino che per scrivere un romanzo come “Storie di confine” bisogna fare un grande lavoro di ricerca e di studio. Quanto tempo hai dedicato alla ricerca? E questo lavoro cosa ti ha lasciato a livello emotivo?
È vero. Quando sono nei giorni di “ricerca” sono come un detective che cerca strade poco battute, agganci che arrivano da un’idea anche nel mezzo della notte. Non penso ad altro e mi rendo conto che la vita non è solo questo, ma… Altre volte stacco di proposito, mi dedico ad altro e magicamente quando ritorno ai libri e al computer mi rendo conto di essermi ricaricata e di poter continuare là dove avevo avuto un’impasse. È un’avventura piena di emozioni. Io viaggio con i miei personaggi femminili e penso con la loro testa (o viceversa?) è come se vivessi una moltitudine di vite. La ricerca mi dà l’input iniziale, ma poi continua a viaggiare in parallelo alla scrittura, per avere dettagli e informazioni che restino nella coerenza della narrazione, perciò si conclude con l’ultima pagina del libro.
- La storia di Guerrino possiamo dire sia il centro attorno a cui orbitano gran parte dei personaggi raccontati. Che personaggio è Guerrino? Come è nato?
Guerrino è la vittima incolpevole, rappresenta il profilo di molti bambini che ho avuto in classe, i loro silenzi, le loro rabbie, il loro desiderio di affetto e di ascolto. È ciò che la guerra ha prodotto. La spinta alla scrittura mi arriva da questi personaggi che sono impotenti davanti al loro destino, che hanno avuto pensieri e paure lungo il corso delle loro vite. Dove finiscono le emozioni di ciascuno? È questa la mia analisi, perché quel pezzetto di storia non sia fatto solo di date o del numero dei morti. Il mio personaggio rappresenta tutti quelli che sono nati per un gesto di cattiveria, eppure la loro vita ha un significato, perché hanno saputo riscattarsi dal loro passato.
- Quale impatto pensi possa avere un libro come il tuo sulle nuove generazioni?
Se un giovane leggerà il mio libro mi piacerebbe potergli trasmettere il desiderio di riflettere su ciò che è successo, magari la capacità di comprendere che non deve ripetersi. Purtroppo so anche che l’uomo non ha memoria. Spero che, nonostante tutto, la scuola possa essere un’officina di intelligenze e che si diffonda l’educazione alle emozioni e al controllo dei sentimenti negativi.
- I fatti che racconti sono ispirati a fatti reali di cui sei a conoscenza da fonti più o meno dirette?
I fatti che racconto sono realmente accaduti dopo la disfatta di Caporetto, quando le truppe tedesche invasero la pianura veneta. I personaggi di Maria e di Guerrino sono immaginari, ma gli stupri sono documentati da articoli sugli “orfani dei vivi” dell’Istituto San Filippo Neri di Portogruaro, da dove si evince che le donne vittime di stupro ne portavano la colpa e tenevano segreta la violenza (se potevano). Qualcuna si “liberava” di nascosto, altre si sono uccise. C’è da ricordare che i bambini venivano chiamati “orfani dei vivi”, perché ufficialmente erano registrati come figli legittimi del marito e non potevano essere considerati orfani ed essere accolti nei normali orfanotrofi; questo nel libro viene raccontato nel dettaglio.
- Credi che esistano differenze importanti tra le guerre passate e quelle purtroppo attuali, o la guerra è guerra e basta?
Il motivo per cui le guerre scoppiano comincia ad essere una prima differenziazione. Difendere la propria casa e la propria identità è cosa diversa da una guerra di conquista in territorio altrui. Un’altra differenza sta oggi nell’uso di armi sempre più sofisticate. Purtroppo le conseguenze sono sempre le stesse: distruzione e morte di persone e di ambienti, violenze e coinvolgimento di civili.
- Hai già in mente nuovi progetti per il futuro?
La mia mente è sempre in movimento! A dicembre uscirà un nuovo progetto, sempre per la casa Ciesse e con la mia fantastica editor Giulia Pretta. Ancora storie di donne coraggiose che viaggiano verso Alessandria d’Egitto, ma non vi dico altro!
Grazie mille ad Ivana Tomasetti per la sua disponibilità e la sua cortesia. Speriamo di ritrovarla presto nostra ospite su queste pagine
Grazie a voi!
David Usilla