Recensione:  L’incoscienza – Simone Consorti, – Les Flaneurs

Recensione:  L’incoscienza – Simone Consorti, – Les Flaneurs

 

L'incoscienzaIl titolo dell’ultimo romanzo di Simone Consorti, L’incoscienza (Les Flaneurs 2023), richiama da vicino La coscienza di Zeno, il capolavoro di Italo Svevo uscito esattamente cento anni fa. Anche qui uno psicanalista pubblica le memorie del paziente, ma stavolta non per farlo tornare in cura, semmai il contrario, per mettere la parola fine al loro rapporto. “Con  questo libro, non solo smetto di seguire o inseguire, ma anche di proseguire” ci dice il Dottor S. nell’introduzione. La pubblicazione del loro scambio di mail, visto che il medico non riceve più da quasi dieci anni, concluderà la sua trentennale carriera. L’impianto è teatrale. Due personaggi si scrivono apparentemente per chiarirsi a se stessi e all’altro e finiscono per fraintendere ogni cosa. Quello che doveva essere un nuovo strumento di cura (“un nuovo modo di esercitare e non di esercitarmi”, ci tiene a sottolinear il Dottor S.) diventa il meccanismo che con-fonde realtà e finzione. Dentro il testo troviamo tanti riferimenti alla fotografia e al teatro, i grandi amori di Salvo Ragazzi, un ex professore mai realmente strutturatosi che ha un debole per le ragazze troppo giovani. Il Dottor S. suggerisce al suo paziente, per distrarsi da sé durante gli attacchi, di concentrarsi sugli altri fotografandoli. È  proprio nell’ambiente della fotografia che si manifesterà l’unico personaggio femminile di spicco dell’opera, la tiflologa Ionela, caratterizzata da magnetici occhi strabici, “che sembrano guardarti sempre pur non guardandoti mai”, e da una schiena drittissima, correlativo oggettivo di una personalità rigida. Di fronte a questi due muri inaccessibili: il Dottore che non può vedere, e la ragazza inattingibile, il nostro paziente, un po’ per volta, si sgretola. Salvo Ragazzi finisce a pezzi. Ma dalla sua disgregazione nascerà un’opera: Dacci oggi il nostor panico quiotidiano. Un’opera ironica.

E qui arriviamo all’altro punto di contatto tra L’il incoscienza e  La coscienza di Zeno, cioè il tono impiegato: l’ironia di chi non ha più niente da perdere perché ha già perso tutto, compresa la giovinezza e ogni certezza sia ideologica che sentimentale. Il professore è un inetto che ancora prova qualche goffa incursione nell’amore, pur facendosi tentare solo da relazioni impossibili. Il suo nome è “Salvo ragazzi”, un nome antifrastico. In realtà era Salvatore ma, dopo aver lasciato morire una donna sotto un terremoto, se l’è cambiato. Un personaggio forse non dinamico, magari abbarbicato ai suoi tic e ai suoi vizi, ma sicuramente poliedrico, sfaccettato e mai scontato. Potrebbe azzardare di tutto e di tutto il contrario. Perfino scendere una scalinata con una macchina in un Eur notturno, descritto come un non luogo lunare, in un maniera che sarebbe piaciuta a De Chirico.

L’incoscienza è un libro pieno di lapsus, e colpi di scena, in cui Consorti si muove come su di un palcoscenico. L’autore nella vita fa il professore in un liceo romano: sarà allora Salvo Ragazzi, l’ex professore, il suo alter ego o il Dottor Sposini, il cui nome è un sinonimo proprio di Consorti? Tra i due, che interpretano ruoli antitetici, i confini si fanno via via meno rigidi, fino ad apparirci, nella conclusione, come un unico personaggio senza più contorni precisi.

 

Riportiamo qui un estratto dell’opera:

 

Gentile Signor Salvo, mi accingo a raccontarle una vicenda personale.  Dopo dieci giorni di degenza, ieri sono stato dimesso dal San Camillo. Venerdì 19 sono svenuto, a seguito di una fortissima fitta, che avevo attribuito a delle coliche. Invece era un’appendicite, che per poco non si trasformava in peritonite. Ora sa perché, prima sotto l’effetto di anestetici e poi di forti antidolorifici, non me la sono sentita di scriverle. Inoltre, scrivere in giro col tablet non sarebbe stato professionale. In questi quasi due anni, dalla prima all’ultima mail che le ho inviato, nessuna l’ho mai scritta da un luogo pubblico. Il fatto che non riceva non vuol dire che non ho conservato un mio spazio. Anzi il divano, la scrivania, le piante, la collezione di pipe tutto è rimasto uguale al giorno in cui io e il bonsai che mi era accanto, non ci siamo presi quell’innaffiata di acido. Ma veniamo alla vicenda personale. Mentre mi risvegliavo dall’anestesia, ancora sotto l’effetto dell’Etomidate, mi è parso di vedere un infermiere intento a farmi una foto. Sul momento ho finto di dormire, richiudendo subito le palpebre nella speranza che si tradisse, scattandone  un’altra. Per tutelarmi ho insistito per conferire col responsabile del reparto. Lui però non è psicologo, conosce sì gli effetti di un’anestesia (e il fatto che, in alcuni casi, possa produrre forme di allucinazione interpretativa) ma non gli strascichi profondi, a volte paranoidi, che, anche dopo anni, un’acidificazione può suscitare. Il fatto è che undici anni fa un paziente mi ha rinfacciato che non valevo niente, che ero una sorta di improvvisatore, capace solo di tirare diagnosi a caso; che ero, come ha detto lei? un “terapeuta della domenica”. Solo che, a quelle frasi, ha fatto seguire un gesto terribile; perciò, prima di proseguire col nostro rapporto, ho bisogno urgente di sapere da uno a dieci, usando la stessa scala che abbiamo adottato per il panico, quanto fa “fatica a controllarsi” .

L’incoscienza è disponibile nel doppio formato digitale/cartaceo

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