Intervista Alessandro Milan  – “I giorni della libertà” (Mondadori) – 

Intervista Alessandro Milan  – “I giorni della libertà” (Mondadori) – 

Alessandro Milan

Abbiamo da poco recensito “I giorni della libertà” (Mondadori) di Alessandro Milan e abbiamo una volta ancora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autore per parlare del libro ed approfondirne i temi trattati.

Buongiorno Alessandro, è un piacere ed un onore immenso averti ospite per la terza volta sulle nostre pagine. Ancora una volta grazie per la tua disponibilità.

  • Il tuo ultimo libro si intitola “I giorni della libertà”. Ci spieghi il significato di questo titolo?

Il libro è un racconto ambientato nell’Italia della Seconda guerra mondiale e copre un arco temporale dal 1942 al 1945. Sono gli anni in cui i sei protagonisti del romanzo fanno una scelta precisa, quella di combattere per conquistare la libertà, per sé e per le future generazioni. La libertà di cui godiamo oggi nasce proprio dagli sforzi, talvolta dal sacrificio della vita, di persone come loro.

 

  • Libero Temolo, Sergio Temolo, Carmela Fiorili e Angelo Aglieri sono alcuni dei protagonisti di questo tuo nuovo libro. Sono persone realmente esistite, persone che tanto hanno fatto nella lotta contro il nazifascismo. Come hai conosciuto le loro storie e cosa ti ha spinto a volerle raccontare?

Tutto è partito da una pietra d’inciampo posta vicino a casa mia, vicino alla quale passavo tutti giorni. Riportava il nome di Angelo Aglieri. Un giorno sono entrato nel palazzo e ho chiesto informazioni al portinaio. Da lì mi si è aperto un mondo perché oltre ad Aglieri ho saputo che in quel palazzo la portinaia, Carmela, aveva animato la Resistenza cittadina. Il tutto a due passi da piazzale Loreto, luogo simbolo della storia, luogo che si intreccia inesorabilmente anche con i destini di Libero e Sergio Temolo. Insomma, sono partito da una pietra d’inciampo e ne è nato un affresco collettivo di vite intrecciate tra loro.

  • Francesca, figlia di Carmela Fiorili, e Sergio Temolo sono due ragazzi e ben ci rappresentano la condizione per cui pure i più piccoli erano in un modo o nell’altro coinvolti personalmente nella barbarie della guerra, diventavano essi stessi piccoli protagonisti di qualcosa di più grande di loro. Come vivevano secondo te i più piccoli quel tipo di situazione e quali scorie ha lasciato nel loro intimo l’aver dovuto vivere certe esperienze?

La Guerra, oltre alle numerose vittime, ha segnato un’intera generazione di ragazzi ai quali è stata negata l’infanzia. Avere vissuto gli anni che dovrebbero essere i più spensierati sotto i bombardamenti e l’occupazione nazista ha talvolta indurito i cuori. Dopo quel dolore, è venuta su una generazione certamente più temprata ma chiusa. Quei giovani, una volta cresciuti, non hanno raccontato le sofferenze patite ai loro figli. Era come una pagina dolorosa da strappare dal libro delle loro vite.

  • Alle volte si pensa che ormai sul periodo di cui racconti nel tuo libro si sia ormai scritto tutto, che ormai ogni verità è stata rivelata, che nulla di nuovo c’è da aggiungere a ciò che in tanti hanno già scritto nei loro libri. Ebbene i libri come il tuo credo che dimostrino come ancora tanto e tanto ci sia da dire e da raccontare su un periodo storico tra i più bui della storia dell’umanità. Secondo te quanto è importante continuare a raccontare le vicende di quel periodo anche a beneficio delle generazioni future?

Il romanzo non ha certamente la pretesa di rivelare particolari nuovi su quel periodo, gli storici hanno già scritto in abbondanza. Mi interessava concentrarmi su alcune storie sconosciute, sulle figure di donne e uomini comuni, operai, impiegati, una casalinga. Persona che non sono entrate nei libri di storia, ma hanno fatto la Storia. In più, mi piaceva raccontare la Resistenza in un città occupata e bombardata, con quel senso claustrofobico che invece era almeno risparmiato ai partigiani che scappavano sulle montagne e potevano quantomeno godere di attimi di libertà e di avventura a tratti romantica. In città invece la lotta era accompagnata dalla solitudine, dalla paura costante delle delazioni, dal senso di isolamento.

  • Nel 43 Mussolini viene deposto dal Re per essere sostituito dal Generale Pietro Badoglio sancendo sostanzialmente la caduta del fascismo. La gente, quindi, scende festante per le piazze a festeggiare una libertà che ben presto si rivelerà essere niente più di un’illusione di libertà. In breve tempo la gente si rese conto di essere caduta dalla padella alla brace, e che il peggio forse doveva venire. Come vissero le persone quel periodo di passaggio repentino da grande euforia a cocente delusione?

Quando il 25 luglio Mussolini fu arrestato, gli italiani pensarono per un attimo che la dittatura era finalmente finita, e con essa si aspettavano la fine della guerra. Ne seguì una festa smodata, a tratti sguaiata, senza freni. C’era davvero la certezza di un domani migliore. Poi, nel volgere di pochi giorni, la situazione precipitò. Nell’agosto 1943 ci furono i più massicci bombardamenti mai registrati sulle città italiane, da parte degli Alleati. Gli inglesi volevano distruggere il morale dei civili, spingendoli alla resa. Ma quando ci fu l’armistizio (che fu reso noto l’8 settembre) non ci fu tempo per gli italiani di gioire. Nel giro di due giorni gli ex amici, i nazisti, occuparono gran parte del Paese insieme ai fascisti della neonata Repubblica di Salò. La possibile festa si tramutò nei 19 mesi più bui per l’Italia del secolo scorso.

  • Ad un certo punto racconti in maniera molto precisa e dettagliata ciò che succedeva al campo di concentramento di Fossoli. Hai avuto modo di visitarlo? Se sì che emozioni ti ha suscitato?

Certo, sono stato a Fossoli, un luogo che dovrebbe essere visitato da tutti. C’è una Fondazione estremamente attiva che tiene viva la memoria di quel campo in cui passarono migliaia di prigionieri. Il Museo Monumento al deportato poi espone il visitatore a emozioni molto intense, in particolare quando si entra nell’ultima sala, quella che riporta su tutte le pareti i nomi dei prigionieri passati di lì

  • Ti confesso che quando hai parlato di ciò che succedeva ai prigionieri di San Vittore ho sentito un grande malessere, una rabbia e un’impotenza davvero forte. Sei stato davvero molto bravo nel trasmettere al lettore l’atmosfera che regnava in quel luogo infernale. Tu che emozioni hai provato quando ti venivano raccontate queste storie di torture, di sevizie e di crudeltà gratuita?

“È davvero incredibile pensare che questo accadeva non molti anni fa, nelle nostre città. A San Vittore sono stati torturati migliaia di cittadini comuni, operai, impiegati, avvocati, preti, solo per il fatto di avere avuto il coraggio di essere antifascisti. Sentir parlare di bruciature con le sigarette, di unghie strappate, solo per citare alcuni dei trattamenti, e nemmeno i peggiori, fa davvero una grande rabbia. Ecco, ho provato molta rabbia”

  • Tutti ricordiamo l’esposizione di Benito Mussolini a testa in giù a Piazzale Loreto a Milano, abbiamo visto le foto e sappiamo come il suo corpo fu ferocemente devastato. Molti però, io per primo, non sanno perché è stato esposto proprio in quel luogo. Leggendo il tuo libro mi sono effettivamente dato una risposta che credo possa essere quella giusta, mi sono reso conto che è la risposta dei partigiani all’eccidio di Piazzale Loreto nel quale tra gli altri pure Libero Temolo viene fucilato. È proprio così?

Questa pagina di storia è davvero sorprendente. Se chiedi alle persone “dove fu esposto il corpo di Mussolini?” tutti rispondono in coro “piazzale Loreto”. Ma se chiedi loro “perché fu scelto proprio quella piazza e non altre?” in pochissimi sanno rispondere. Il motivo è semplice: qualche mese prima, il 10 agosto 1944, in quello stesso punto della piazza i fascisti uccisero quindici oppositori. Erano operai, impiegati, un poliziotto, un insegnante. Fu un’esecuzione barbara, e tra le vittime c’era uno dei protagonisti del libro, Libero Temolo. Mussolini, la Petacci e gli altri gerarchi furono esposti lì per lavare il sangue con il sangue

 

  • Ci racconti di una Milano che ad un certo punto è davvero in ginocchio, una Milano avvolta in una cappa di paura, desolazione e rassegnazione. Tu che Milano la vivi quotidianamente, che ne respiri le atmosfere ogni giorno, che sensazioni hai provato sentendo i racconti di quel periodo?

Anche in questo caso mi ha fatto impressione. Oggi viviamo la Milano dei grattacieli, della modernità, la città più europea d’Italia. Ma allora c’era la fame, quella vera, per cui si faceva il pane con la segatura e qualcuno arrostiva i gatti pur di arrivare a fine giornata. Il burro, il sale, la carne erano introvabili. Ogni sera si rischiava di finire bombardati. Il 20 ottobre del 1944 una bomba colpì in pieno una scuola elementare nel quartiere di Gorla e morirono 188 bambini, oltre al personale della scuola stessa. Questa era Milano, non molto lontano dai nostri giorni.

  • Cosa lascia nel cuore di un giornalista come te, che ha dimostrato sempre grande sensibilità, tutto il lavoro fatto per la stesura di un libro così intenso e così pieno di fatti emotivamente molto coinvolgenti e certamente molto provanti per ogni animo sensibile?

Provo un enorme senso di gratitudine verso queste persone che hanno letteralmente donato la propria vita per un ideale superiore, quello di vivere da donne e uomini liberi. In Sergio Temolo, che è morto il 30 gennaio 2022 dopo una vita spesa a ricordare e testimoniare, non ho mai colto un briciolo di rivalsa, di rabbia o di senso di vendetta. Voleva solamente tramandare a tutti il valore profondo della libertà, non come arma da brandire ma come vessillo da sventolare.

  • La storia dei fratelli Aglieri a me sinceramente ha lasciato decisamente l’amaro in bocca. Di fatto Angelo Aglieri viene arrestato e finisce deportato al campo di concentramento di Flossenbuerg a causa del tradimento del fratello Carlo che poi a guerra finita, non pago di questo, cerca di ottenere gli onori che in realtà spettavano al fratello. Cosa hai pensato quando hai saputo di questa storia?

Questa parte del libro è il frutto di una scoperta che mi ha dato profonda soddisfazione. Di Angelo Aglieri si sapeva pochissimo, e quel poco che si sapeva del suo arresto era falso. Si diceva che era stato arrestato per avere portato una bomba a mano al Corriere della Sera, invece quella bomba non fu mai trovata. E allora per mesi mi sono chiesto: ‘perché è stato arrestato?’ I discendenti non ne sapevano molto, c’era come un alone di mistero attorno a questa vicenda. Allora mi sono tuffato nell’Archivio di Stato, dove ho scoperto che due giorni prima dell’arresto di Angelo era stato arrestato il fratello Carlo. Mi sono detto che non poteva essere una casualità. E un giorno, nell’Archivio, ho chiesto l’accesso a un documento e… ho scoperto tutto! È stata un’emozione incredibile, anche se si tratta di una vicenda legata a persone non famose. Nel documento del 1945 che mi hanno dato c’era scritto tutto, perché e come Angelo Aglieri, partigiano della Brigata San Giusto, era stato arrestato. È una vicenda torbida, triste, squallida legata appunto al fratello. Una volta scritto il libro, abbiamo dato finalmente una risposta alla frase che circolava nella famiglia Aglieri nel dopoguerra. Una zia continuava a ripetere “è morto il fratello sbagliato”, ma non aveva mai voluto aggiungere altro.

  • Alla fine del romanzo ci racconti del tuo ultimo incontro a casa di Sergio Temolo. Cosa ti ha lasciato a livello umano l’aver avuto la possibilità di ascoltare le sue storie e le sue confidenze?

Di Sergio conservo ricordi bellissimi, gli incontri con lui erano densi di emozione per me. Porterò dentro di me il senso di fierezza della vita sua, e di suo papà. Come conserverò per sempre l’amore che si respirava tra lui e sua moglie Luigia, che gli era a fianco dal 1956

  • Un’ultima domanda forse un po’ autoreferenziale. Ormai è la terza volta che abbiamo l’onore di averti ospite sulle nostre pagine e ogni volta tu dimostri nei nostri confronti molta disponibilità e grande cortesia. Secondo te oggi come oggi i blog che si occupano di libri, e non solo, che ruolo possono avere nel diffondere il piacere per letteratura e per tutte le forme d’arte che oggi forse oggi pagano una certa superficialità generale del pubblico?

Penso che abbiate un ruolo importante, e non è per piaggeria che lo affermo. I lettori sono comunità che cementano talvolta un rapporto molto stretto, rapporto basato sulla fiducia. Se leggono una recensione e si fidano del blog in cui è scritta, comprano il libro. Siamo nella società in cui tutto è misurato dal numero di like e di condivisioni. Ma io penso invece che un valore come la fiducia, magari condiviso tra meno persone, abbia un peso specifico che tutti i like del mondo non potranno mai superare. Quindi grazie per quello che fate, e avanti così

 

Ringraziamo di vero cuore Alessandro Milan per la sua disponibilità e per l’affetto che ogni volta dimostra nei riguardi del nostro blog. Speriamo ovviamente di averlo presto ancora ospite sulle nostre pagine.

 

David Usilla

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