INTERVISTA AD ANTONIO G. D’ERRICO – L’USO INGIUSTO DELLA GIUSTIZIA

INTERVISTA AD ANTONIO G. D’ERRICO – L’USO INGIUSTO DELLA GIUSTIZIA. STORIE DI VITTIME E DI PERSECUTORI – CTL (LIVORNO) EDIZIONI.

 

Antonio D'Errico

Abbiamo da poco recensito “L’uso ingiusto della giustizia. Storie di vittime e di persecutori”, scritto da Antonio G. D’Errico, edito da CTL (Livorno) e abbiamo ora la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autore.

Ciao e bentornato partiamo subito con le domande:

 

  • Da cosa nasce l’esigenza di scrivere questo libro?

Ogni fatto narrato porta in sé la necessità di spiegarsi prima di tutto le ragioni che portano alla materializzazione di determinate realtà: quali cause si siano radicate nell’equilibrio delle vicende umane perché certi fatti si materializzassero. Se partiamo dall’idea che la vita è l’occasione per rendere partecipe di un bene collettivo l’umanità, in cui gli animi creano un sostrato vitale di forze che favoriscono la dimensione umana, già questa è una buona ragione per dare corso a una narrazione; se poi, addirittura, la vita offre spunti in cui i comportamenti di chi dovrebbe garantire l’equilibrio delle forze sociali attraverso l’alto esercizio dell’ufficio della giustizia, e l’esito di questo esercizio è invece un attacco inspiegabile alla dignità delle persone, ai loro diritti basilari, alla loro vita, allora un libro come L’uso ingiusto della giustizia diventa necessario. Nel testo sono descritte le vicende giudiziarie di persone che da innocenti hanno dovuto sostenere l’azione tracotante temibile e terribile della cattiva giustizia, di chi le ha trascinate in un’aula di tribunale, senza un dubbio, senza quella attenzione che ogni animo umano deve riservare a un altro animo umano, qualunque sia il suo ufficio, che a partire da un principio sancito dalla giustizia ideale: “È innocente fino a prova contraria”. Questi cittadini – imprenditori, sindaci, appartenenti alle forze dell’ordine, persone comuni – sono stati condotti nei tribunali dopo che le procure hanno eletto lettere anonime a prove di reati, ad atti di accuse: smentiti puntualmente nei processi, che li hanno assolti, affermando l’idea che la magistratura, come le società, è fatta anche di persone coraggiose, oneste, rigorose, amanti della verità. È la verità che anima questo libro, dove le vittime della cattiva giustizia possano trovare, attraverso il racconto di chi è caduto vittima come loro e si è risollevata, una ragione per credere nella loro onestà, perché questa loro certezza le salverà da ogni ingiuria di chi ha cercato per motivi inspiegabili di renderli fragili, deboli, insicuri. Il libro dà voce ai protagonisti delle storie di malagiustizia, riserva loro quell’attenzione e quel diritto che in altri luoghi sono stati negati. Questo incontro è il sigillo tra la vita vissuta e lo scopo di un certo modo di fare letteratura, che non è solo forma artistica, ma è forma e sostanza vitali, caleidoscopiche, sensibili.

  • Cosa ti spaventa di più di quello che hai raccontato nel tuo reportage?

La verità non mi spaventa e, quindi, poiché questo libro è nato da un incontro con persone di grande umanità, mi conforta. Mi crea dispiacere, invece, la reazione di chi dovrebbe elevare le voci dei protagonisti del libro a echi di speranza e fiducia e invece ha dovuto fare la scelta di ritiralo dalle vetrine. All’editore è stata recapitata la lettera di un avvocato che chiedeva, da parte di un magistrato, il ritiro del testo. Questo gesto è veramente insopportabile, perché è sprezzante della vita delle persone, della loro libertà di espressione e, meglio, della loro facoltà di parola. Nessuno ha il diritto di negare la parola, la voce, a nessun altro, perché in quella voce sono contenute le proprie emozioni, il desiderio di affermare la sua vita, di poter ritornare a contemplare la sua anima dopo che ha dovuto ripulirla da lunghi e duri attacchi. In quella voce c’è la voce di magistrati onesti che li hanno ascoltati e liberati dall’azione della cattiva giustizia. In quelle voci c’è la speranza della vita. Il libro è stato ritirato, ho accettato alla fine la scelta dell’editore, ma sono e sarò sempre pronto a dare le bozze a un editore più grande, meno attaccabile nelle certezze, nelle risorse e nelle scelte del proprio lavoro, perché la voce dei protagonisti torni ad arrivare all’animo dei lettori. Questo libro parla di amore tra gli uomini nelle sue forme più alte. E l’amore non lo arresta nessuna forza che non sia altrettanto pura, ideale e degna. Questo libro non attacca nessuno, non fa nomi per il gusto dello scontro: ma non fa nomi perché non hanno alcuna necessità ai fini della narrazione. Le pagine scritte sono solo la voce di chi ha avuto il coraggio di raccontare la verità su quanto gli è accaduto.  Nessuno può credere di vincere sulla verità, che è amore eterno verso l’uomo, la vita, il bene in ogni sua forma e sostanza.

  • Esiste a tuo avviso un modo per limitare, quanto possibile, l’uso ingiusto della giustizia?

C’è sempre un modo per difendersi da ciò che è inopportuno, ingiusto, scorretto: questo modo è parlarne! Parlarne con altri, perché insieme la voce arrivi a chi ingiusto non è. Questo è anche il compito della scrittura. Questa è la mia visione della scrittura. Non scrivo per noia, perché non saprei che fare altrimenti, ma lo faccio perché ho fiducia che il mondo si corregga se posto di fronte alla verità. La magistratura è il sostegno di una società giusta, ma deve fare attenzione a non credere che sia l’unico istituto che esercita la giustizia. La giustizia la esercitano gli uomini, così come pure l’ingiustizia. E i magistrati sono uomini. Sono uomini che possono fare bene o male, come tutti gli uomini. E come tutti gli uomini sono giudicati. Non è il giudizio privilegio di una categoria di uomini, ma per dirla con Kant il giudizio è l’esito della ragione, che è relazione di cause

  • Credi che sia un fenomeno prevalentemente italiano?

Credo che sia un fenomeno di chi sbaglia nel giudizio. Qualche mese fa la Corte Suprema americana ha negato alle donne della confederazione la possibilità di ricorrere all’aborto, anche in situazioni di grande disagio fisico e morale. Secondo te è un modo giusto di esercitare la giustizia? Non si possono trattare temi tanto personali con una sentenza che non tiene conto delle persone.

  • Credi che l’aumentare della tecnologia possa, come dicono, difenderci da un uso ingiusto della giustizia?

La tecnologia delle macchine può solo accelerare i tempi della giustizia, ma il giudizio rimane effetto degli uomini. Potremmo aumentare il numero dei giudizi, forse, con un incremento della tecnologia nei palazzi di giustizia, ma sperando che non siano giudizi ingiusti, eseguiti da persone ingiuste. Dall’ingiustizia ci difendono persone giuste, che guardano ad altri uomini verso i quali – e non contro i quali – devono sentenziare, con umanità e direi anche con pietà, nonostante a volte ci si trovi a giudicare animi empi. Ma un magistrato non giudica il cuore delle persone, un magistrato giusto giudica gli atti e i fatti secondo il diritto. È l’umanità che potrà difendere l’umanità da sé stessa.

 

Grazie mille per la disponibilità, arrivederci a presto sempre sulle pagine de I Gufi Narranti.

Grazie tante a te, per la tua gentilezza, che è un valore che va alimentato nell’animo umano.

 

 

Sandra Pauletto

 

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