Intervista ad Alberto Costantini – Donne ai confini dell’Impero – Gilgamesh editore

Alberto Costantini

Abbiamo da poco recensito il romanzo: Donne ai confini dell’Impero di Alberto Costantini e ora abbiamo la possibilità di scambiare con lui quattro chiacchiere

 

  1. Essendo la prima volta che ti recensiamo e che di conseguenza ti intervistiamo, ci piacerebbe sapere un po’ chi è Alberto Costantini uomo e chi è Alberto Costantini scrittore. Puoi darci un tuo ritratto per conoscerti meglio?

 

Sono stato un bambino che ha tanto giocato, anche ai soldatini e alla guerra, lo ammetto, e come tanti della mia generazione ho vissuto avventure fantasticando mentre aspettavo che arrivasse il sonno o girando in bicicletta per le campagne. Sono stato poi un ragazzo che leggeva poco, perché non riusciva a trovare quello che voleva, e forse, chissà, sognava di scrivere lui stesso i libri che avrebbe desiderato leggere.

Sono stato uno studente di liceo classico prima, affascinato dal mondo greco romano, di università poi, facoltà di Lettere,  tesi di laurea in storia antica.

Ancora, per 37 anni sono stato un insegnante di scuola superiore, che mentre insegnava desiderava continuare ad imparare; posso dire tranquillamente che l’unico investimento della mia vita, a parte la famiglia, sono stati i libri, soprattutto di storia.

Sono infine stato uno scrittore tardivo, per diverse ragioni: forse pensavo di non esserci tagliato, infatti ho iniziato scrivendo saggi, articoli  e tenendo conferenze, o magari mi imbarazzava mettere in piazza cose inventate da me. Aspettando, ho perso il tempo che avrei potuto impiegare per farmi largo a vent’anni anziché a cinquanta; dall’altra parte, però, mi riconosco il vantaggio di essere arrivato alla scrittura con un buon bagaglio di conoscenze e di esperienze alle spalle.

 

  1. Il fulcro centrale dei questo romanzo, come si evince anche dal titolo, sono le donne. Le hai raccontate in maniera davvero profonda e precisa, cogliendone perfettamente le varie sfumature caratteriali senza scadere mai nello stereotipo e nel cliché. Come sei riuscito ad entrare così profondamente nell’animo di queste donne per riuscire a raccontarle così bene?

 

Grazie. Anche qui, fin da bambino provavo interesse per il mondo femminile, a partire dalle mie compagne di scuola: ero affascinato dalle somiglianze e dalle diversità rispetto ai maschi del mio gruppo, sentivo che in qualche modo mi completavano. C’è da aggiungere che ho trascorso tanti anni all’istituto magistrale, a formare future maestre, e che ho conosciuto colleghe interessanti. Intendiamoci, non è che utilizzo le donne reali come modelli, perché non funziona così, però qualche tratto ogni tanto sì. La domanda che mi pongo in un racconto o un romanzo, soprattutto se di genere avventuroso, è sempre più o meno la stessa: cosa fa una donna che si trova in una situazione come quella in cui l’ho collocata, spesso poco gentilmente? La risposta è che di solito si rimbocca le maniche e si impone un obiettivo minimo: sopravvivere lei stessa e proteggere i suoi cari. Questo, tanto più in periodi difficili, come nel caso di Velia e di Valeria, e delle tante altre donne schiave, concubine, mogli del mio romanzo. E poi, pensiamoci: se le donne di adesso sono diversissime fra loro per carattere, convinzioni personali, condizione sociale, cultura, perché non lo dovevano essere anche in passato? Anzi, direi a maggior ragione, in un mondo che ancora non pativa l’attuale omologazione globale.

 

  1. La precisione con cui racconti il periodo storico in cui è ambientato il tuo libro è davvero stupefacente. Quanta preparazione serve per scrivere un romanzo così? Quanto lavoro di documentazione richiede questo tipo di narrativa?

Ci sono diversi livelli di documentazione: quella generale sul comportamento umano, frutto di esperienze personali e letture anche di qualche testo di psicologia e antropologia. C’è poi quello specifico dei periodi della storia in cui situo la vicenda, con una particolare attenzione alla classe sociale, al ruolo, alla cultura dominante, all’ambiente, anche in senso proprio. Alcuni esempi: la battutaccia in gotico che scappa a Velia è presa dalla traduzione della Bibbia di Wulfila; alcuni passi del romanzo sono parafrasi di Ammiano Marcellino e di altri storici; le lettere che si scrivono Valeria e Velia sono modellate su quelle redatte effettivamente da donne di allora; la vita della moglie di un comandante di accampamento ha tratto ispirazione  dagli straordinari ritrovamenti archeologici di Vindolanda; le iscrizioni sono insieme finte nei personaggi e vere nei testi. Per l’assedio di Nisibis ho cercato diverse versioni e le ho assemblate. Personaggi come il dotto goto Wulfila, il buon Sant’Efrem Siro, il sospettoso Costanzo sono storici. Usi e costumi dei popoli, le loro lingue, il loro modo di vivere e di combattere sono debitori alle testimonianze coeve o alle ricerche archeologiche moderne. Poi, ogni tanto, mi piglio lo sfizio di inserire un anacronismo: la visita al misterioso santuario preistorico di Göbekli Tepe, ad esempio, o altri episodi tratti da contesti completamente diversi, basta che si inseriscano bene. In questo mi hanno molto facilitato studi e letture di genere anche diverso dalla storia in senso stretto; però a maggior ragione occorre attenzione ai particolari, perché è su questi che più facilmente scivola lo scrittore, e se vogliamo anche lo storico di professione.

 

  1. Sei un autore molto noto per alcuni romanzi di fantascienza di successo, cosa ti ha spinto a passare al romanzo storico? Cosa ti piace dei due generi narrativi?

In verità, sono partito proprio col romanzo storico, A ovest di Thule, per la precisione, storia di una nave romana sbattuta sulle coste dell’America, poi ripubblicato da Gilgamesh. Ebbene, proprio in quell’anno, il 2003, vincevo anche il prestigioso “Premio Urania” pubblicando per la Mondadori il primo romanzo di fantascienza. Nessuna contraddizione fra i due generi, anzi, direi che si integrano, tenendo conto che la maggior parte dei miei romanzi e racconti di fantascienza si sviluppa su una base prettamente storica. A questo proposito, per chi ama il romanzo storico ma ha ancora qualche diffidenza verso la fantascienza, consiglio i miei romanzi usciti con la Gilgamesh: Le astronavi di Cesare, La guerra dei multimondi. L’infiltrato, L’undicesima persecuzione. Non avendo preparazione scientifica specifica, mi sono orientato verso l’ucronia, i viaggi nel tempo, la fanta-sociologia. Cos’hanno in comune i due generi? Direi la possibilità di esplorare l’altrove in senso generale, quello che c’è stato, e quello che avrebbe potuto esserci…

 

  1. Donne ai confini dell’impero è il secondo romanzo, dopo “La donna del tribuno” (Gilgamesh Edizioni), che racconta di donne dell’antica Roma. Perché hai puntato la tua attenzione proprio su questo argomento?

 

Figure femminili ovviamente compaiono in ogni romanzo storico-avventuroso che si rispetti, ma, mi sia consentito dirlo, in modo un po’ stereotipato, quasi che il lettore non si aspettasse altro, e questo, si badi bene, anche da scrittori di fama. Dunque, l’eroina deve possedere forme impeccabili, essere di una “bellezza statuaria”, in perfetta corrispondenza con l’eroe-montagna-di-muscoli. Posso modestamente dire che non erano così, almeno non sempre e non tutte? Capisco che donne da sogno fanno sognare, ma sul serio ci si identifica con personaggi così? O non piuttosto con Velia, grassottella simpatica, donna scettica, intelligente e ironica, sensuale e amante dei piaceri della tavola? Non è la tipica eroina da film anni ’60 che l’eroe salverà poco prima dei titoli di coda, né la guerriera in mutandine e reggiseno di cuoio borchiato che affetta i nemici con il suo spadone dei film di adesso; ho cercato soprattutto di delineare non un “tipo”, ma una persona. E come lei le altre donne: l’ostessa irlandese, l’ex schiava abbandonata, la cugina incontentabile, l’amica incontrata alle terme, e così via.

 

  1. Hai in previsione altri romanzi dedicati alle donne dell’antichità? Hai già altri progetti letterari in cantiere?

 

La mia intenzione è intanto di completare la serie delle donne di confine. Il prossimo romanzo sarà La schiava dei libri, con ambientazione l’Africa del Nord del V secolo d. C., cui seguirà  L’ultima amazzone, e infine Il lungo viaggio della schiava Artemis, romanzo picaresco, sempre con donne romane, di diverso periodo, livello sociale e condizione, il che significa altresì un tono diverso dei romanzi, per offrire una panoramica del passato sotto diverse sfaccettature.

 

  1. Credi che la conoscenza della storia possa essere uno strumento fondamentale per capire il presente e soprattutto il futuro?

 

Ho sempre amato la storia, fin da bambino, quando sfogliavo la mitica enciclopedia “Conoscere”. Cosa si impara dalla storia? Beh, tante cose. Ad esempio che il nostro non è l’unico mondo possibile e forse nemmeno il migliore (ma neanche il peggiore); si impara che gli uomini e le donne del passato, pur restando uomini e donne, erano diversi da noi. Che le idee cambiano, cambia il concetto si peccato e di virtù, cambiano le strutture sociali e quindi ideologiche della società, la visione della donna, della famiglia, della politica. Pertanto, è assurdo valutare il passato con la testa e il metro di oggi, come purtroppo vorrebbe fare chi pretende di cancellare quello che è stato colpendo i suoi monumenti, i suoi classici, le sue idee. Se c’è una certezza, questa consiste nel fatto che i posteri ci giudicheranno con lo stesso metro con cui noi stiamo giudicando i nostri padri. Ma per esprimere un giudizio equanime sul passato, bisogna in primo luogo conoscerlo, e per questo può servire anche un buon romanzo storico.

David Usilla

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