Intervista esclusiva ad Andrea Guglielmino lo “Scrivente” –

Intervista ad Andrea Guglielmino lo “Scrivente” 

 

andrea guglielmino

 

Ciao Andrea Guglielmino grazie per essere passato a trovarci, questo luglio 2021 è particolarmente prolifico per te, sei fuori con ben due volumi:

 

“Garibaldi Vs Zombies” (graphic novel edita da Emmetre edizioni)

e con il saggio:

“Terminator il tempo una macchina” (Golem edizioni) Due opere assolutamente diverse tra loro.

È più naturale per te scrivere libri o fumetti?

 

Domanda interessantissima. Io mi considero uno ‘scrivente’ come dico spesso, più che uno scrittore. La mattina mi alzo e dopo aver avviato la giornata inizio a scrivere. Può essere semplicemente un appunto su quello che devo fare durante il giorno, una mail a cui rispondere, un appuntamento da segnare in agenda oppure un’intervista, come in questo caso. Sono le 9.30 del mattino e già scrivo. Questo per dire che la scrittura in ogni sua forma per me è una cosa ‘naturale’. Per me una cosa esiste dal momento in cui è scritta da qualche parte. Venendo alla tua domanda, il fumetto, ma più in generale ciò che implica la costruzione di una trama, lo trovo sempre più faticoso nella fase progettuale. Si soffre sempre un po’. Magari hai un’idea che non porta da nessuna parte, oppure non riesci a sbloccare un punto della narrazione. A volte inizi delle storie che non riesci a portare a termine per anni, o addirittura mai. Questo può essere un po’ frustrante. Ma il segreto è avere sempre mille storie e mille alternative. Quando non si scrive tutti i giorni si tende a pensare che le idee piovano dal cielo e soprattutto, che una volta acquisita l’idea la storia venga da sé. Ecco, non è mai così. Bisogna sempre arrovellarcisi parecchio, e possibilmente farlo davanti al foglio su cui si scrive, perché caratteristica di uno scrittore è proprio quella di scrivere. Scrivere, cancellare, ripetere, finché non viene bene. Molti dicono di voler fare gli scrittori ma non scrivono mai. Dicono ‘ho pensato tanto alla mia storia ma non sono riuscito a portarla su carta’. Allora, non c’è niente di male, ma se non scrivi non sei uno scrittore, sei un pensatore. Magari un filosofo. Io amo i filosofi, ho preso una laurea in filosofia, però per diventare scrittori bisogna scrivere. Cose brutte, cose belle, non importa. Si vedrà poi. Ma uno scrittore, è lapalissiano, deve scrivere. La saggistica invece è per me un’attività ‘rilassante’. Certo, anche quella implica studio e preparazione, ma dopo aver raccolto ed esaminato il materiale, la fase di stesura segue un flusso molto naturale, su procede anche per associazioni di idee lasciando libera la mente, il percorso a volte si costruisce da sé. Le due attività sono complementari e ciascuna nel mio caso aiuta l’altra. Studiando le storie raccontate da altro capisco alcuni meccanisimi che poi applico alle mie, e d’altro canto saper scrivere storie aiuta a comprendere e godere meglio quelle scritte da altri. Diciamo che è un bel loop.

 

 

  • Come nasce “Terminator il tempo è una macchina” e qual è il tuo rapporto con il cinema?

 

Il mio mestiere principale è proprio quello di giornalista per il cinema. Scrivo per CinecittàNews dal 2009, quindi con il cinema ho un rapporto strettissimo. Ci sono cresciuto per tutto il corso della mia giovinezza, negli anni ‘80 e ‘90, anche se oggi trovo che il media si sia tanto modificato da allontanarsi da un modello riconoscibile come cinema, almeno nel suo lato più popolare e commerciale. I film, anche quelli che escono in sala, sono tutti impostati come serial. Una cosa che mi fa sentire leggermente ‘tradito’ perché io penso che il cinema debba essere anche sintesi, e in linea di massima le serie non mi piacciono. Non che abbia qualcosa contro, ma non rispondono alla mia forma prediletta di intrattenimento, che è appunto il cinema. Il libro nasce naturalmente dal mio amore incondizionato per il film di James Cameron. Il primo capitolo è per me, credo di poterlo dire senza grossi indugi, il film della vita. C’è un po’ tutto, a parte gli aspetti tecnico che sono di prim’ordine: una sceneggiatura di ferro che non perde un colpo sul concetto di paradosso temporale, una storia d’amore che attraversa ‘gli oceani del tempo’ ben prima del Dracula di Coppola (altro film che adoro), un padre che lotta per difendere un figlio che deve ancora nascere, senza sapere nemmeno di essere suo padre. Il concetto di predestinazione, il tema del libero arbitrio. Il ritorno dei miti greci (Sarah Connor è una moderna Cassandra, conosce il futuro disastroso ma nessuno le crede). I temi sono tantissimi. E io li conosco bene perché ho seguito questa saga per anni non solo attraverso il cinema ma anche con tutte le espressioni parallele: libri, fumetti, videogiochi. Posso dirmi un esperto. E queste cose le puoi fare solo con materiale che conosci molto bene. Mi dicono ‘ma come, davvero hai letto tutta questa roba per intero?’. Certo. Nel corso di 35 anni. Non l’ho fatto per il saggio. Il saggio è la conclusione di un lungo percorso. Ed è il terzo di una serie iniziata nel 2015 con ‘Antropocinema’ e proseguita nel 2018 con ‘Star Wars: il mito dai mille volti’. Antropocinema è una crasi che sta per ‘Antropologia del cinema’. Come un antropologo, uso i miti per studiare la cultura umana. Solo che nel mio caso, i miti sono quelli di celluloide. Un approccio che mi ha dato molte soddisfazioni.

 

 

  • Il fumetto è quasi sempre un lavoro di squadra, in particolare cosa puoi dirci di: “Garibaldi Vs Zombies”?

 

Amo lavorare in squadra e per questo, oltre al disegnatore Fabrizio De Fabritiis, ho voluto coinvolgere artisti diversi come il geniale Sudario Brando o il bravissimo Alberto Dal Lago per la copertina. Perfino il lettering in Garibaldi Vs Zombies ricopre un ruolo fondamentale, ci ha pensato Daniele Brancato. Con ciascuno di loro lavoravo in session specifiche per la loro porzione di lavoro, però era un progetto che nasceva visceralmente da me, anche questo l’ho elaborato in più di dieci anni. A un certo punto del percorso ho capito che dovevo investirci, sia in termini di tempo che di denaro. Non parliamo di cifre astronomiche. Produrre un fumetto, rispetto ad esempio a un film, è cosa relativamente facile. Un primo piano di Garibaldi costa esattamente come la scena di battaglia di massa in costume d’epoca. Carta, matita, pennarello, al limite una tavoletta grafica. Fondamentalmente bisogna pagare solo la manodopera del disegnatore, dato che io avevo già la sceneggiatura stampata in testa. Alla fine mi sono detto: “ma sì. Rinuncio a qualche uscita e a un gioco per la Playstation ogni mese”, e la cifra necessaria per un bel lavoro professionale l’ho alzata. Ero come un produttore cinematografico, ma per i fumetti. E dunque anche un po’ regista. Pagavo, dunque tenevo le redini, anche se si è trattato davvero di un lavoro di squadra e tutti hanno dato apporti fondamentali. Fabrizio ad esempio ha suggerito l’idea degli zombi elettrici. E’ stato fantastico. Mi chiedo come sia possibile che nel mondo del fumetto non si sia affermata la figura del ‘produttore’, come al cinema. Oggi mi sono prodotto un fumetto da me, domani chissà, potrei investire nell’idea di qualche altro autore, magari con talento ma alle prime armi, in cambio della giusta percentuale. Potrebbe funzionare.

 

 

  • Sei anche appassionato di storia?

 

Certamente sì e ho un approccio ‘storico’ al mondo. Tutto il mio percorso di studi si è mosso tra filosofia e storia, non tanto nel senso di ‘cronologia degli eventi’ (anzi, ho una pessima memoria nozionistica e gli esami dove bisognava ricordare troppe date tendevo a evitarli) quanto nel senso vichiano di attenersi al ‘fatto’, che poi ha anche influenzato il mio lavoro sul cinema come giornalista. Per questo ho fatto poca ‘critica’ in senso vero e proprio. La critica è un’opinione, può inseguire una verità iperuranica e questo la nobilita, ma la rende anche spesso autocelebrativa. Se invece racconti il film nella sua oggettività, per come è stato prodotto, pensato, ragionato, per come si presenta attraverso il linguaggio, i fotogrammi, le inquadrature, puoi fare un report obiettivo. E poi c’è l’analisi, come nei miei saggi. Lì scelgo un taglio antropologico perché mi permette un punto di vista diverso, che non cerca tanto di individuare quello che il regista voleva dire, ma quello che magari non voleva dire ma che dice comunque, in quanto rappresentante di un momento storico, di un gruppo sociale e nel suo piccolo dell’intera razza umana. I registi ci sembrano dei grandi ma rispetto alla storia dell’uomo sono piccolissimi, figuriamoci rispetto a quella dell’universo. Sono convinto che anche il più grande, in un pianeta lontanissimo anni luce da noi, non sia minimamente conosciuto, nemmeno se fosse Stanley Kubrick o Sergio Leone. A quel punto capisci che a seconda del punto di vista che assumi, le cose diventano relative. Se studi l’uomo, come fanno gli antropologi, ti interessa quello che racconta il mito, non tanto quello che racconta il regista. E il mito varia per adattarsi alla storia. In Terminator poi questo è più vero che mai, perché la storia cambia a seconda dei paradossi temporali che si innestano. Mito e storia sono complementari, anche se sembrano opposti l’uno all’altro. Per i protagonisti del mito, il Mito è vero quanto lo è per noi la storia. Ma la storia detta al mito le regole per variare, sopravvivere e restare funzionale, ovvero ‘fondare’ gli aspetti della realtà storica considerati importanti sia da chi produce il mito sia da chi lo riceve.

 

 

  • Come ti sei avvicinato al mondo del fumetto?

 

Da bambino avevo un pupazzo dell’Uomo Ragno, di quelli che in Italia erano importati dalla Herbert. Era un vero bambolotto, aveva un costume di stoffa che poteva essere tolto e cambiato… lo adoravo. Quindi probabilmente mia madre, che era sempre pronta a fornirmi stimoli, deve avermi comprato qualche albo della Corno. Eh sì, ho parecchi anni sulle spalle. Me li leggeva lei perché io non sapevo leggere, parliamo ancora di un bambino di tre, quattro anni nel pieno degli anni ’70. Ancora non avevamo nemmeno le VHS quindi il fumetto era l’unica forma di arte visiva pop che potevi tenere da parte e fruire in qualsiasi momento tu volessi. E’ iniziata così. Come quasi tutti gli sceneggiatori il mio primo tentativo è stato quello di disegnare. Ero bravino, anzi più che bravino, quindi quando ne ebbi la facoltà pensai bene di iscrivermi alla Scuola Romana dei Fumetti… e lì scoprii – non ne avevo veramente contezza – che nella maggior parte dei casi non era il disegnatore a inventare le storie! Magia. Capii presto che il disegno non era la mia strada. Troppe ore passate inchiodato al tavolo a rifinire i dettagli… io avevo mille altre cose da fare. Suonavo, studiavo all’università, e poi per fortuna il lavoro da giornalista. La scrittura mi chiamava a gran voce. Allora dissi “se posso scrivere articoli forse posso scrivere anche fumetti”. La feci troppo facile. Quindi di nuovo studio, tentativi, frustrazioni, i giusti rifiuti. Stavolta però pare che l’abbia spuntata. Alla fine è una questione di tempo e perseveranza.

 

 

  • So che attualmente lavori con la “Bugs comics” per il personaggio Samuel Stern e vari albi collegati, come “Derryleng”. Che rapporto hai con questo personaggio? Se dovessimo confrontarlo con Dylan Dog?

 

Lavoro con la Bugs dal 2015 ed è in effetti la casa a cui, fumettisticamente parlando, devo tutto. Ma non è solo una casa editrice. E’ un progetto, un progetto di vita di Gianmarco Fumasoli che ha coinvolto una squadra straordinaria di cui ho la fortuna, il privilegio, e devo dire pure il merito – visto che ho avuto la buona intuizione di dargli ascolto – di fare parte. Quindi seguo Samuel dai primi vagiti, anzi, proprio dai calcetti che dava nella pancia di ‘mamma’ Fumasoli. Il personaggio è assolutamente suo, poi rifinito assieme al curatore Massimiliano Filadoro, però mi ricordo che ogni tanto, mentre lavoravamo sulle nostre cose, Gianmarco mi chiedeva a bruciapelo alcune cose che riguardavano ‘il nuovo personaggio da edicola’, che ancora non aveva un nome preciso. A volte lo chiamavamo Sebastian. E io gli rispondevo, senza sapere nemmeno il background o altro. Lui mi diceva ‘non preoccuparti. Dimmi secondo te quale deve essere lo scopo primario di un demone, poi ci penso io’, o cose di questo tipo. Quindi in sostanza, se Gianmarco e Massimiliano sono la mamma e il papà, o se vogliamo il genitore 1 e il genitore 2 di Samuel, io mi sento lo zio. Anche per questo ho accettato l’incarico di direttore responsabile di testata. Tutte le testate devono averne uno e deve essere un giornalista, io sono un giornalista, per cui… ok, per il mio nipotino preferito, questo e altro. Anche se naturalmente la cosa che più mi piace è scrivere storie di Samuel. La prima su cui ho messo la firma è stata il numero 8, ‘Il secondo girone’, devo dire molto amata dai lettori, che mi chiedono costantemente un seguito. Ci sto lavorando, ma prima uscirà un’altra storia autonoma, dovrebbe essere il numero 31, disegnata da Annapaola Martello. C’è anche un’altra storia breve a cui tengo molto, che uscirà prima, sull’Extra di ottobre, dove il protagonista non è Samuel, e che per una serie di motivi considero un corrispettivo di quello che Rogue One è stato per Star Wars. Non posso dire di più per non rovinare la sorpresa. Quanto a Dylan Dog, penso che le uniche cose che accomunano i personaggi siano il formato – ovviamente quello di Samuel, il classico ‘bonellide’, è derivativo. E’ il formato che funziona di più in edicola. A proposito, sull’Extra di ottobre ci sarà anche un redazionale speciale che ho curato insieme al collega Francesco Fasiolo, proprio dedicato ai bonellidi – e il fatto che si muovano in campo horror. Ma Dylan è bendisposto, gentile d’animo, pronto all’ascolto. Samuel è un orso, ha problemi familiari pesanti e non è nemmeno tanto convinto di quello che sta facendo. Naturalmente mi piace tantissimo Dylan Dog e soprattutto la sua versione classica, quella con cui sono cresciuto. Quando ho scritto ‘Il secondo girone’ avevo difficoltà perché nessuno conosceva Samuel, non avevo molto materiale di riferimento e quindi temevo di scrivere qualcosa che contrastasse con la sua storia o il suo modo d’essere. Lì Dylan mi è venuto in aiuto, perché mi sono ricordato che nelle sue storie degli anni ’80 e ’90 spesso non era il protagonista, pur essendo titolare di testata, ma il testimone di struggenti ed emozionanti storie altrui. Il ‘mio’ Samuel è spesso così, anche nelle storie che sto scrivendo adesso. E’ giusto che il protagonista glie lo facciano fare Gianmarco e Massimiliano, io mi concentro molto su Duncan, personaggio che amo, e ho creato la mia ‘bolla’ nell’universo di Sam, ovvero il bordello freak chiamato appunto ‘Il secondo girone’ e popolato da variopinti personaggi, che tornerò presto a sviluppare.

 

 

  • Credi che, come nel campo della narrativa ha preso piede il formato digitale, ci sia spazio per lui anche nell’ambito dei “comics”?

 

Sì e no. Ho scoperto da poco ‘Marvel Unlimited’ e in effetti per il fumetto seriale è comodissimo. E’ come una sorta di Netflix dei fumetti. Vai, cerchi quello che vuoi, 90% lo trovi e non devi pagare altro se non un piccolo abbonamento mensile. Hai una library sterminata, tanto che c’è l’imbarazzo della scelta, senza problemi di spazio di alcun tipo. Quindi da questo punto di vista per gli amanti dei fumetti, che sono anche accumulatori seriali, è una svolta. Però c’è l’aspetto collezionistico, e questo col digitale sparisce totalmente. Credo che i lettori di fumetti siano ancora troppo vincolati a questo aspetto, al ‘possedere’ l’opera, al sentire l’odore della carta e della colla e il rumore delle pagine che sfrigolano e scrocchiano, per poter abbandonare l’esperienza del cartaceo, che è anche molto ‘sensuale’, se vogliamo. Insomma, c’è differenza tra guardare una foto di una torta e mangiarsela. Oppure, come diceva il compianto Stan Lee, “i fumetti sono come le tette. Guardarle online è fantastico, ma preferisco stringerle tra le mie mani”.

 

  • Secondo te un ottimo romanziere può facilmente anche essere un capace sceneggiatore di fumetti o son due mondi troppo distanti?

 

Può esserlo, ma no facilmente. Non è automatico, bisogna studiare i due specifici linguaggi con le loro relative tecniche, imparare a sfruttare le loro caratteristiche nel dettaglio, leggere tanto di tutti e due i media. Per esempio, nei romanzi non esiste lo spazio bianco tra una vignetta e l’altra. In un fumetto posso inquadrare un personaggio in primo piano e poi nella vignetta successiva allargare l’inquadratura e mostrare, non so, che è in sedia a rotelle. E ho costruito un colpo di scena che, in un romanzo, andrebbe lavorato in maniera diversa. Nei fumetti c’è la fattuale esigenza di mostrare i colpi di scena e le sorprese sempre su pagina pari, perché essendo un mezzo visivo, il lettore scorrendo involontariamente la pagina con gli occhi, potrebbe rovinarseli. Vanno sempre inseriti quando si volta la pagina. Questo nel romanzo non è necessario e anzi sarebbe ingestibile. D’altro canto il romanzo permette di espandersi con le descrizioni, di esprimere più facilmente pensieri e stati d’animo, e può più facilmente costituirsi anche senza una trama specifica, appoggiandosi di più sulle emozioni.

 

  • Una mia domanda assolutamente personale, ma come mai un personaggio poliedrico e bravo come te non è su Wikipedia? Son rimasta basita.

 

Perché non posso farmi la pagina da solo, altrimenti Wikipedia mi banna, e non ho avuto il tempo di chiedere a qualcun altro di farla. Inoltre ho usato tutto il mio budget per produrre Garibaldi Vs. Zombies e quindi non posso permettermi un ufficio marketing. Di solito ci pensano loro. Oppure dei fan molto accaniti. Beh, se volessi per caso farla tu, non mi offenderei di certo.

 

Avrei un milione di domande da farti, ma poi più che un’intervista diventerebbe un interrogatorio e quindi mi taccio, ti chiedo soltanto ancora:

 

  • Sei in giro con qualche firma copia?

 

Per ora no, per motivi personali, perché è in arrivo l’estate, e sinceramente e soprattutto perché ancora non mi sento sicuro rispetto a Covid e assembramenti vari. Chiuderò il mio ciclo vaccinale ad agosto e poi, a settembre, vedremo. Non c’è fretta, per fortuna. Un film al cinema si gioca tutto nel primo weekend. Se non va bene lo smontano. Ma i libri restano fruibili a lungo. Possono decantare. Meglio essere saggi. Altrimenti, che saggista sarei?

 

 

Grazie mille davvero per la disponibilità e spero di ospitarti nuovamente e presto sulle pagine de i gufi narranti a noi Wiki ci fa…un baffo

 

Grazie a voi. Quando volete, sapete dove trovarmi. Hasta la vista, baby!

Sandra Pauletto

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