Ready Player One – Troppa voglia di giocare. Poca voglia di fare cinema.

Ready Player One

Anno: 2018

Titolo originale: Ready Player One

Paese di produzione: USA

Regia: Steven Spielberg

Produttore: Donald De Line, Steven Spielberg, Kristie Macosko Krieger, Dan Farah

Cast: Tye Sheridan, Olivia Cooke, Ben Mendelsohn, T. J. Miller, Simon Pegg, Mark Rylance, Lena Waithe, Philip Zhao, Hannah John – Kamen

La Terra nel 2045 è consumata dall’inquinamento e dalla sovrappopolazione. La maggior parte dell’umanità vive nelle cataste, baraccopoli di palazzi formati da roulotte impilate. La multinazionale IOI invece occupa gli spazi asettici di un grande stabilimento ed è comandata dal ricco e potente Nolan Sorrento. Unica scappatoia da questo mondo disperato è OASIS, una realtà virtuale, creata dal genio informatico James Halliday, a cui tutti possono collegarsi e giocare sfidando i limiti dell’immaginazione. Quando Halliday muore compare però una sfida all’interno di OASIS, “Il Gioco di Anorak”. Chi riuscirà a trovare tre chiavi nascoste diventerà il proprietario del gioco. Wade Watts, un ragazzo di Columbus fanatico di OASIS e di Halliday, è determinato a vincere la sfida.

Wade Watts (Tye Sheridan) collegato al mondo di OASIS.

Come si fa’ a rendere interessante ed originale un film d’intrattenimento nel 2018? Ci vogliono alcuni accorgimenti fondamentali per dribblare l’ovvio come: un’attenta caratterizzazione dei personaggi, una certa brillantezza nei dialoghi, la capacità di immaginarsi un’estetica se non personale e inedita, così bella e curata da non poter rimanere indifferenti e infine un intreccio narrativo che sfugga ai canoni, che non riprenda pedissequamente ciò che è già stato fatto. Potrebbero anche essere sufficienti solo un paio di questi elementi per rendere degno di nota un prodotto sui generis. Come può esserlo quindi Ready Player One che non ha nessuno di questi requisiti? Sono consapevole che si possa discutere sull’estetica, che sicuramente a qualcuno sarà piaciuta, perciò concedo al film l’impegno nell’aver realizzato il colorato e sfaccettato mondo di OASIS, non così lontano per fattura iper cromatica digitale dagli antri spaziali di Valerian E La Città Dei Mille Pianeti. Per il resto Spielberg, l’eterno ragazzino, si è divertito (più di) quanto basta ad assorbire quanta più possibile cultura pop degli anni ’80 per rimpolpare la trama. Un lavoro di cesello, dove si può apprezzare la trovata del cubo di Rubik che diventa di Zemeckis perchè riavvolge il tempo di sessanta secondi, ma fine a se stesso e così ridondante da stordire. Come le chiacchiere dei personaggi, stereotipati e senza arte ne parte (cominciando dall’insipido Wade Watts) che ciarlano un linguaggio nerd inarrestabile, rappresentazione interlocutoria della distanza che Ready Player One vuole prendere dal cinema per sconfinare vistosamente nel videogioco. In questo caso sono numerosi i tratti in comune con Star Wars: Gli Ultimi Jedi, partendo dalla digitalizzazione ostentata non paragonabile alla percepibile poesia visiva di Mad Max: Fury Road, Godzilla o Blade Runner 2049. Passando per l’inconsistenza dei personaggi e arrivando ai dialoghi forzatamente retorici e in questo caso anche inutilmente patetici e seriosi. Al regista americano va riconosciuta la maturità di un’intuizione su tutte da ricordare, cioè quella di traslare un personaggio femminile in un avatar maschile. Unico vero punto a favore di un film che sguazza nell’ultra citazionismo, nell’azione super cinetica e quasi indistinguibile e nelle situazioni più abusate. Un marasma di movimenti al cardiopalma, ostinatamente resi artefatti dal CGI; sono sicuro che togliendo la componente virtuale digitalizzata il film sarebbe stato molto più coinvolgente e credibile.

L’opera di Spielberg è di dubbia veridicità proprio per il suo trend visivo, che ignora troppo l’autenticità del recitato affidandosi a cartoni animati che fungono da mere coscienze alter ego di un popolo di nerd. Perchè non darci i nerd in carne e ossa e dimostrarci che siano veramente degli appassionati di cultura pop anni ’80? Alla fine il flusso infinito di nozioni fornite si perde in un vortice di copia e incolla in cui giochi di ruolo, videogiochi e Shining non possono che stonare e corrispondere al risultato di un pasticcio architettato alla rinfusa solo per compiacere un osservatore distratto o casuale, non un vero appassionato. Il fanatico di Mario Kart potrà dirsi soddisfatto (e per quanto riguarda la gara automobilistica avrebbe ragione perchè è da urlo, pur non eguagliando le emozioni degli sgusci di Star Wars), ma molto probabilmente il malato della cultura anni ’80 rimarrà deluso. Stevie, se dovevi dimostrare di essere ancora giovane potevi farlo meglio.

Zanini Marco

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