Mountain Dust – Seven Storms – Sette tempeste di dramma e sofferenza.

Mountain Dust – Seven Storms

Anno: 2018

Paese di provenienza: Canada

Genere: hard rock

Membri: Brendan Mainville – voce e chitarra; Patrick Bennett – chitarra steel, organo, violoncello e voce; Hal Jaques – basso, tromba, piano e voce; Blair Youngblut – batteria, percussioni e voce

Casa discografica: autoprodotto

  1. Seven Storms
  2. White Bluffs
  3. Turn You In
  4. Inside The Rift
  5. You Could
  6. Into The Depths
  7. Witness Marks
  8. Old Chills
  9. Stop Screaming

Per parlare di anomalie in ambito musicale si potrebbero prendere in esame i Mountain Dust. Un gruppo che di certo non ha deciso di fare musica per seguire una corrente attualmente di moda. Anzi, la proposta di questo quartetto canadese, è ciò che di più lontano possa essere di tendenza in questi anni.

Il punto a cui sono arrivati con questo Seven Storms, loro secondo album, vede ben alzata l’asticella stilistica e compositiva rispetto agli esordi più orientati ad un facile stoner, comunque non eseguito alla grandissima. Come già si era intuito nel precedente Nine Years, il punto di riferimento principale è l’hard rock anni ’70 schiacciato al suolo da un’attitudine sofferente e drammatica, in cui si distingue un tratto operistico. In questo quadro oscuro emerge vagamente l’anima acida e garage dei Black Rebel Motorcycle Club, svuotata però di ogni sua prospettiva ruffiana. Il risultato, pur essendo tutto sommato prevedibile una volta entrati nel vivo, di tanto in tanto muta passando da momenti energici ad altri più strascicati, raggiungendo anche parentesi quasi epiche. L’inizio, che porta il titolo dell’album, ad esempio ha un attacco che pesca a piene mani dall’immaginario di fine anni ’70 – primi anni ’80, dove l’heavy non era ancora così heavy. Sembra quasi di assistere ad un frizzante incipit alla Diamond Head o alla Tygers Of Pan Tang, che sono stati colonne portanti di un genere che faceva (e fa’ ancora) del “duro e puro” il proprio stile di vita. Ma il modo in cui questo va ad incasellarsi con il resto lo tradisce parzialmente, andando a colorarsi delle chitarre blues dei Nazareth e delle tastiere vintage degli Uriah Heep. Vocalmente si sconfina poi nei territori del garage e dell’alternative rock e questo va a completare uno stile che tenta di sfuggire alle definizioni, rifiuta la forma canzone tradizionale e l’orecchiabilità spicciola, preferendogli un gusto musicale superiore alla media, il sentiero espressivo, l’emotività esasperata.

www.youtube.com/watch?v=6-ODWTSK6Js

White Bluffs e Turn You In rappresentano veramente l’anima dei Mountain Dust, un gruppo che si preoccupa di fare musica e non che genere di musica. C’è qualcosa di sofferto, di decadente, di travagliato nelle loro corde e loro lo prendono e lo sbattono in accordi incasinati che riecheggiano nel buio. Un colonna sonora continua che promette per lo più dolore ed infelicità. Come il riff cupo e drammatico di Inside The Rift, che ti conquista subito, al primo ascolto, accontentandosi di variare di poco sulla tavolozza cromatica, ma che essendo così azzeccato non può lasciarti indifferente. You Could, profonda e sprezzante, è l’incontro perfetto tra il garage velenoso e il corpo aggressivo e sostanzioso dell’hard rock. Con Into The Depths assistiamo ad un improvviso rimando agli albori stoner doom, scelta utilissima per spezzare un attimo il ritmo che si dilata poi in una ballata anticonvenzionale, alla maniera dei Mountain Dust in pratica. Witness Marks è infatti un inno alla disperazione che sprigiona un’atmosfera plumbea e funerea. Old Childs stupisce invece per un vago sentore gotico degli ultimi Depeche Mode, dove si distingue anche l’assolo lamentato in bilico tra Black Sabbath e Him. Stop Screaming, che conclude questo tripudio scioccante, ha un incipit polverosamente stoner e si sviluppa come un lungo treno che attraversa il deserto portandosi dietro un carico di epicità e consapevolezza, quella di saper fare musica di altissima qualità, se non tecnica, emotiva.

Black Rebel Motorcycle Club, Diamond Head, Tygers Of Pan Tang, Nazareth, Uriah Heep, Depeche Mode, Black Sabbath e Him = Mountain Dust. Credo di aver detto tutto… o quasi. Ah si, forse dovrei dire che Seven Storms è un disco spiazzante, sensazionale nella sua intelligenza. I Mountain Dust dal canto loro sono encomiabili per la loro singolarità e i loro quintali di stile.

Voto: 10

Zanini Marco

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