Intervista esclusiva a Vincenzo Maimone per I Gufi Narranti

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Intervista a Vincenzo Maimone

Vincenzo Maimone è nato a Messina, e nella città dello stretto si è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi. Ricercatore in Filosofia politica presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania, ha scritto diversi saggi e articoli pubblicati su riviste scientifiche.

 

Vincenzo Maimone (Foto di Mario Cicala)
Vincenzo Maimone (Foto di Mario Cicala)

Nel 2002 la Rubettino Editori pubblica “La società incerta. Liberalismo, istituzioni nell’era del pluralismo”.

Nel 2009, la casa editrice Sampognaro & Pupi pubblica “Un nuovo inizio”. Il primo dei romanzi gialli che vedono la coppia Costante e Serravalle come protagonisti. Questo primo romanzo fu semifinalista al prestigioso Premio Scerbanenco.

 

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Seguirà “L’ombra di Jago”, sempre per la Sampognaro & Pupi.

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Nel 2014 La Fratelli Frilli Editori pubblica altre due avventure della coppia ormai collaudata di investigatori. “La variabile Costante”, vincitore della Sezione Scrittori Emergenti al Premio Romiti 2015, e “Sicilia terra bruciata” nel 2016.

 

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D.Come ricercatore all’Università di Catania sei un attento osservatore della società contemporanea, come d’altronde si evince dal tuo saggio del 2002 pubblicato da Rubbettino: “La società incerta. Liberalismo, individui, istituzioni nell’era del pluralismo”. Tu hai sottolineato che la società contemporanea è caratterizzata da diversi princìpi religiosi o politici che spesso portano a conflitti ideologici. Questa convinzione ti condiziona nel creare le trame dei tuoi romanzi?

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R. Sono passati 14 anni ormai dalla pubblicazione di quel saggio, ma ritengo che le ragioni che mi avevano spinto a scriverlo siano ancora attuali. In quel libro cercavo di argomentare la tesi secondo cui l’incertezza dovrebbe costituire un valore o, perlomeno, un termine di paragone nella costruzione delle relazioni interpersonali. Nella società contemporanea, il conflitto identitario è diventato un elemento dominante che mina alla radice la stabilità delle istituzioni politiche. Aggiungo, inoltre, che esso ha finito con l’occultare e mettere in secondo piano le vere questioni politiche e sociali, ovvero, la mancanza di una concreta e funzionale giustizia distributiva. Detto questo, entrando nel merito della tua domanda, direi che la complessità del reale, il fatto che ogni aspetto del nostro quotidiano sia pervaso da differenti orizzonti possibili, non può non trovare spazio in uno schema narrativo. Nelle mie storie cerco di evitare la monodimensionalità dei personaggi, del contesto. Ritengo che una storia sia tanto più accattivante e attraente, quanto più consenta al lettore di individuare aspetti e elementi riconoscibili, indipendentemente dal fatto che ne condivida o meno gli esiti e le prospettive.

D.Nel 2010 iniziò il tuo percorso nel mondo della narrativa gialla con il romanzo dal titolo profetico “Un nuovo inizio”. In una intervista, alla domanda “perché scrivere un giallo”, rispondesti che ti incuriosiva usare una forma espressiva diversa da quella tipicamente saggistica e che ritenevi il genere “giallo” fosse ideale per rappresentare le caratteristiche della natura umana. Sei ancora della stessa opinione?

R. Non solo rimango della stessa opinione ma, oserei dire che nell’arco di questi 7 anni (“Un nuovo inizio” è del 2009), la mia convinzione si è andata rafforzando. La letteratura di genere, ed in particolare il “giallo” o il “noir” rappresentano, almeno per quanto mi riguarda, un valido strumento di descrizione e analisi del reale. Affrancandoci dal bisogno del lieto fine a ogni costo, essa consente di guardare con occhi meno condizionati e condizionanti il mondo circostante. L’oggetto delle mie storie è la natura umana in tutte le sue manifestazioni e contraddizioni. Probabilmente, il merito, se di merito è possibile parlare, dei romanzi noir è quello di ricordarci che Hobbes non aveva poi sbagliato nel considerare con scetticismo la specie umana.

D.Nel tuo quarto romanzo appena uscito,“Sicilia terra bruciata”, scrivi: << Il nuovo che avanza si era presentato con la tipica arroganza e la supponenza che consegue dalla mediocrità quando essa viene investita di una qualche autorità>>. Quindi è sempre la solita musica? E’ il nuovo che avanza, ma in pratica il vecchio che ristagna?

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R. Il cambiamento è un aspetto importante della nostra esistenza. Allargando al massimo la focale, si potrebbe dire che esso rappresenti una categoria antropologica fondamentale nella storia millenaria della nostra specie. Tuttavia, esso è funzionale se, e solo se, implica una reale evoluzione, un miglioramento. Nel lessico contemporaneo ormai in voga, dalle nostre parti, entro cioè il contesto nazionale, il bisogno di cambiamento è diventato solo uno slogan privo di spessore: un argomento da piazzisti di spazzole, piuttosto che una vera spinta alla crescita. La ragione di questa involuzione va ricercata non solo nella malafede di chi si spaccia per portatore di una nuova visione, ma anche nella crescente disattenzione dell’opinione pubblica. Siamo ormai addomesticati alle ragioni del “tutto e subito” che abbiamo perso di vista il valore della fatica nella costruzione di un pensiero autonomo. Il preconfezionato è comodo e la delega ad altri ci solleva dalla responsabilità e dall’onere della giustificazione. A pensarci bene è un grosso risparmio di tempo, le cui conseguenze sono però disastrose per noi e per le generazioni che seguiranno.

D.Adagiata alle pendici dell’Etna e con i piedi nel mar Jonio, la cittadina barocca di Acireale si offre come palcoscenico alle avventure del commissario Giacomo Costante e del docente di Filosofia e Storia Tancredi Serravalle che sono i personaggi dei tuoi romanzi. Dalla loro prima apparizione hai iniziato un percorso di crescita caratteriale e psicologica evidente. Puoi raccontare chi sono e se Tancredi potrebbe essere il tuo alter ego?

R. Tancredi Serravalle e Giacomo Costante sono due personaggi complementari, ovvero, essi si muovono nel contesto della trama delle mie storie, senza che l’uno prevalga o rubi la scena all’altro. Si tratta di due persone normali costrette a fare i conti, per scelta professionale, per curiosità o per puro accidente, con situazioni estreme. Tancredi e Giacomo, sono due amici, e il loro legame si è andato via via rafforzando. La ragione della loro reciproca simpatia è dovuta al fatto che entrambi sono mossi dal bisogno di cercare la verità: non quella trascendente, con la “V” maiuscola, verso il quale Tancredi è assolutamente indifferente in ragione del suo spiccato ateismo, e che per Costante sarebbe del tutto inutile ai fini delle sue indagini; ma quella verità che nasce dal bisogno di ricostruire una qualche forma di ordine, seppur provvisorio, che alleggerisca la confusione del quotidiano.

Entrambi hanno avuto esperienze dolorose alle spalle. Costante ha vissuto un lungo periodo di solitudine dopo la morte della moglie, divorata dal cancro, e per questa ragione aveva rinunciato ad aprire il suo cuore ad altre storie, per paura di rivivere il momento della perdita e ritrovarsi a dover fare i conti con la solitudine. Tancredi, dal canto suo, è uno spirito anarchico che vive con disagio la burocratizzazione della scuola e la strisciante deriva autoritaria della dirigenza scolastica. È un libero pensatore che vive con disagio ogni forma di costrizione.

Sarebbe riduttivo affermare che Serravalle rappresenti il mio alter ego. Senza dubbio condivide con me la passione per la filosofia e il disincanto verso forme di verità rivelate da roveti ardenti e simili artifici mistici. Tuttavia, io non sono Serravalle e credo sia fondamentale, per la credibilità del personaggio che tra me e lui si conservi una ragionevole distanza.

D.Tratteggi la realtà acese, che sembra rimasta ferma al solito stereotipo e che di moderno pare non abbia niente, con una punta di amara ironia. Una realtà politica sempre uguale, una cattiva gestione del patrimonio artistico che fa rabbia, che non sembra circoscritta solo alla realtà locale ma che interessa tutta la Sicilia. Come mai perdura questa situazione?

Acireale. Piazza Duomo (foto di Mario Cicala)
Acireale. Piazza Duomo (foto di Mario Cicala)

R. Sono nato a Messina, ma frequento Acireale da ormai 26 anni. Nel corso di questo lungo arco di tempo ho potuto assistere ad un inesorabile declino che ha ridotto l’indice di vivibilità, che ha aumentato il degrado del patrimonio artistico, nonostante le incredibili potenzialità del territorio e gli stentorei proclami dei politici locali. Acireale è una realtà politicamente conservatrice, spesso ottusamente (non me ne vogliano gli acesi) abbarbicata alle proprie tradizioni e comunque incapace di fare i conti con la propria memoria. Alla base di questa deleteria china scivolosa vi è una evidente miopia politica acuita, a mio avviso, da due cause principali: l’incapacità di pensare politicamente entro una prospettiva di medio e lungo periodo, aspetto questo che rende velleitarie e spesso inefficaci le scelte e le decisioni; e una perniciosa trasversalità di connivenze che annacqua le posizioni politiche in campo creando un miscuglio maleodorante e torbido. Alla lunga tali aspetti finiscono con il fiaccare i tentativi di resistenza e di inversione della tendenza che animano l’entusiasmo di alcune realtà culturali presenti sul territorio, costrette e relegate in spazi di espressione sempre più angusti.

D.C’è qualche autore al quale ti sei ispirato e che ti piace particolarmente?

R. In termini generali, credo che le letture fatte finiscano con l’influenzare il modo di scrivere una storia, di tessere trama e ordito. Sono stato un lettore appassionato di Stephen King; adoro la pulizia sintattica di Scerbanenco e trovo insuperabile il disincanto e l’ironia feroce di Mordecai Richler.

D.Trovi sempre le risposte alle domande che ti poni?

R. Fortunatamente no! E filosoficamente non ho mai perso l’abitudine al dubbio.

D.Credi che in Sicilia l’omertà condizioni ancora la gente, a prescindere che si parli di mafia o di reati comuni?

R. Credo che l’omertà non sia un tratto ascrivibile esclusivamente al popolo siciliano. Il silenzio omertoso ha tante facce, tante dimensioni, una pluralità di significati: connivenza, paura, insicurezza, o la crescente consapevolezza di un profondo senso di abbandono, ecc.. Gli esempi di Falcone, Borsellino, Chinnici, La Torre e di tutti quelli che si sono opposti fino alla fine alla minaccia mafiosa sono un ricordo che merita di essere mantenuto vivido e di essere tramandato alle nuove generazioni. Sotto questo profilo, la scuola dovrebbe svolgere un’azione più incisiva e pressante in tal senso, assumendosi un compito che, dal canto suo la politica sembra aver disatteso. Il potere mafioso si è evoluto, dispone oggi di mezzi economici notevoli e di appoggi politici transnazionali. La versione tradizionale del mafioso con coppola e lupara ha ceduto il passo al giovane rampante con master universitario e valigetta ventiquattr’ore al seguito. A ben guardare, è difficile distinguerlo da uno di quei modelli che fanno bella mostra di sé nelle brochure delle università private. Di fronte a questo paradossale gioco delle parti, il problema non riguarda più l’omertà, ma è ben più profondo, esso riguarda la capacità di cogliere la differenza tra legalità e prevaricazione.

D.Tancredi vive e dialoga continuamente con il “Demone socratico”. Il tuo “Demone” è una coscienza morale, un angelo custode o uno spirito guida.

R. Il demone socratico è una sboccata coscienza morale. Quella voce che ricorda a Tancredi il sottile confine tra integrità e ipocrisia. Il demone lo rimbrotta, anche pesantemente, quando si accorge che il suo ospite ha perso di vista i suoi punti di riferimento, i suoi principi. Ma è anche, e forse soprattutto, una voce di libertà e di resistenza verso un mondo sempre più ingabbiato nel perbenismo del senso comune.

D.Pronto a cogliere i fenomeni del nostro tempo, cosa ne pensi dell’uso dei “social”?

R. Sono molto attento a cogliere i fenomeni comunicativi del nostro tempo. Ma conservo un naturale scetticismo verso alcuni aspetti “social” di alcuni fenomeni. Detto altrimenti, credo sia necessario distinguere tra l’efficacia dello strumento e l’intelligenza dell’operatore. Viviamo in un mondo sempre più connesso, che ci rende ogni giorno più trasparenti, con buona pace delle policy sul rispetto della privacy. I social consentono di veicolare in tempo reale un flusso incredibile di informazioni. E tale aspetto è fantastico, utile e produttivo, a patto che la qualità delle informazioni sia certificabile e che, soprattutto, gli utenti che fruiscono di questa enorme quantità di dati e connessioni abbiano strumenti interpretativi efficaci. Il rischio concreto è quello di considerare una voce come dotata di autorevolezza, per il solo fatto che si trova nella rete. Questo aspetto ha effetti potenzialmente disastrosi sui destini individuali e collettivi di ciascuno di noi. Un altro aspetto, che mi lascia dubbioso sulla efficacia dei social è quello inerente alla effettiva capacità di promuovere un reale scambio di opinioni. La comunicazione all’ombra di una tastiera, infatti, conduce troppo spesso alla radicalizzazione delle posizioni. Esiste un linguaggio non verbale che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione della sintassi comunicativa e che, nonostante gli sforzi profusi nella creazione di emoticons, non può essere sostituito dalla pressione di un tasto. Sotto questo profilo, trovo la modalità discorsiva dei social network dispersiva e asimmetrica.

D.Che ruolo gioca la “Memoria” nei tuoi romanzi?

R. La memoria gioca un ruolo centrale nei miei romanzi. I ricordi rappresentano non soltanto una fonte di ispirazione, per i miei personaggi e non solo per loro, ma definiscono, delimitano e influenzano scelte e comportamenti. Esistono vari modi di utilizzare questo enorme bagaglio che siamo soliti portarci appresso. Il fardello delle nostre esperienze passate può bloccare patologicamente la nostra vita, come pure può indurci a modificare radicalmente la nostra esistenza.

D.Se tu dovessi convincere un lettore ad avvicinarsi al tuo romanzo, che argomenti useresti?

R. Scartando il pietoso piagnucolare del “tengo famiglia!”, direi che ciò che i lettori troveranno tra le pagine delle mie storie è uno sguardo disincantato sulla natura umana e sui nostri tempi. La trama noir è uno spunto, un pretesto per farci interrogare sullo stato dell’arte della nostra esistenza.

Ho letto con molto piacere “Sicilia terra bruciata” e ho riscontrato una grande cura nella ricerca della sintassi, che unita alla facilità espressiva rendono chiara e godibile la lettura. L’ambientazione originale e l’uso saltuario del siciliano arricchiscono la trama. Non manca il colpo di scena finale rendendo il giallo appassionante e tracciando anche un percorso di discussione. Mi complimento e ringrazio Vincenzo Maimone per la sua disponibilità e gentilezza. Un arrivederci alla sua prossima fatica letteraria.

 

chiacchierata tra Vincenzo Maimone e Alberto Zanini

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