Il pianista – da “Racconti Dell’Oltre” racconto di Teresa Breviglieri

pianistaIL PIANISTA

Frank salì sul palco con una grande emozione. Il suo primo concerto. Si sentiva felice, orgoglioso di se stesso, ma anche spaventato. Avevo una grande paura di sbagliare, di fare una brutta figura. Ma sapeva anche che non se lo poteva permettere. Aveva lavorato sei mesi per preparare quel concerto che gli avrebbe dato modo di farsi conoscere. Il suo sogno era di fare parte di una grande orchestra e questo era il trampolino di lancio. Si sedette al pianoforte a coda e aprì lo spartito. Doveva eseguire i brani che lui stesso aveva creato in modo perfetto. Appoggiò le lunghe dita affusolate sui tasti. Nel silenzio della sala gremita di persone, iniziò a suonare delicatamente. E in un attimo dimenticò dov’era. Le sue dita, volavano sicure sui tasti e la musica celestiale pervase la mente e il cuore degli astanti. Andò avanti per un’ora, suonando ininterrottamente. Quando toccò l’ultimo tasto si sentì quasi dispiaciuto per aver finito. Gli sembrava fossero passati pochi minuti. Calò il silenzio e lui si alzò in piedi e fece un inchino. In quel momento, scrosciarono gli applausi fragorosi del pubblico. Urla che provenivano da tutta la sala inneggiavano alla sua bravura. Un successo strepitoso; Frank era commosso; sorrideva e ringraziava tutti fra le lacrime perchè non era mai stato tanto felice in vita sua. Gli applausi andarono avanti ancora per dieci minuti e quando stava per chiudersi il sipario, qualcuno gridò chiedendo il bis e subito sopo tutti i presenti urlarono. Volevano il bis. Frank si risedette e suonò le sue migliori melodie. Di nuovo applausi a profusione. Da dietro le quinte gli fecero un segno di chiusura; Frank ringraziando si avviò verso il fondo del palco mentre questo si chiudeva lentamente. I tecnici e tutto lo staff gli fece i complimenti. Qualcuno gli battè una mano sulla spalla. E lui ringraziando tutti, si avviò verso il suo camerino. Appena entrò, tirò un sospiro di sollievo.. si sentiva soffocare dentro il frac e il papillon era troppo stretto; mentre se lo slacciava si buttò pesantemente sul divanetto di fronte allo specchio. Guardò il suo volto provato e lo specchio rifletteva la sua espressione felice ma anche i tratti somatici di un uomo stremato; tutta l’adrenalina che aveva in corpo poco tempo prima era scemata ed ora gli restava solo una grandissima spossatezza. Stanco ma felice. Sapeva che in sala c’erano dei talent-scout ed era sicuro che qualcuno quanto prima l’avrebbe contattato. Mentre percorreva a piedi la via di casa, il suo pensiero corse a sua madre; l’unica rimasta in vita della sua famiglia e chiusa in una casa protetta per malati di Alzheimer. Non aveva potuto essere tra il pubblico per assistere al suo successo. A dire il vero, lei ormai non lo riconosceva più quando lui andava a visitarla e le portava puntualmente una rosa rossa che sapeva essere la sua preferita. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sentirsi ancora chiamare per nome da sua madre. Martha era sempre stata una donna forte e determinata e aveva amato suo figlio, più della sua stessa vita. Ma a 53 anni si era ammalata e il morbo maledetto aveva progredito velocemente, tanto da costringere Frank a ricoverarla dopo soli 8 mesi dalla diagnosi. Ed ora, non lo riconosceva più. Frank cercò di non pensarci perchè era troppo doloroso. Arrivato a casa, sentì che era freddo. Accese il camino, si versò un bicchiere di porto e si sedette sul confortevole divano che ormai gli faceva anche da letto. Guardando il fuoco scoppiettare, iniziò a cantare un motivetto inventato sul momento. Mentre sorseggiava il porto, fu preso dalla malinconia e allora decise, nonostante l’ora tarda, di suonare quel motivetto che ormai aveva in testa e non se ne voleva andare. Si sedette al pianoforte e iniziò a suonare quella strana melodia che andava a mescolarsi perfettamente con il crepitio della legna nel camino. Era un’atmosfera stranamente rilassante e Frank si sentiva in pace con il mondo intero in quel momento. Mentre le sue dita toccavano i tasti bianchi e neri del suo vecchio strumento, sentì che non era mai stato bene in tutta la sua vita come in quel momento. Suonò per un tempo infinito ed era talmente immerso nella sua musica da non rendersi conto che la legna nel camino era esaurita ed il fuoco si era spento. Sentendo un senso di freddo, decise di fermarsi e di riaccendere il camino. Ma le sue mani, non si volevano staccare dai tasti e continuavano a volare leggiadre e a sciorinare quelle note meravigliose. Frank, con suo sgomento capì che qualcosa non andava. Iniziò a sudare freddo per lo spavento improvviso mentre qualcuno suonava alla sua porta. <<Frank… Frank sono Carl… il tuo vicino. Per favore, potresti smettere di suonare?… Non riesco a dormire… sono le tre di notte… Frank!!!>>. Ma il povero ragazzo, oltre a non potere muoversi non riusciva nemmeno a parlare. Cercava disperatamente di urlare per chiedere aiuto, ma la voce rimaneva strozzata in gola. <<Accidenti a te!!!>>. Ora Carl era davvero arrabbiato. Ed urlando e battendo i pugni sulla porta disse:<< Se non smetti immediatamente chiamo gli sbirri e ti faccio arrestare per schiamazzi notturni!!!Fraaaaaaank!!!. e va bene. Te la sei voluta tu!!!>>. Imprecando, se ne tornò al suo appartamento e si chiuse dentro, sbattendo la porta. Il povero Frank, con le lacrime agli occhi per la stanchezza, stava ancora suonando quelle dolci note che lui stava però cominciando ad odiare. Non poteva muoversi. Per quanto cercasse di staccarsi, una forza invisibile glielo impediva. Aveva fame, freddo e sete. Non sapeva che fare.<<Signor Mc Coy, polizia…apra la porta o la sfondiamo!!>>. Carl era con loro davanti alla porta e diceva al poliziotto che continuava a bussare con forza: << Sentite? Continua a suonare quel maledetto pianoforte e non si ferma mai!!>>. << Stia indietro. Ora sfondiamo la porta!>>.Il poliziotto con la pistola in mano, sferrò un calcio potentissimo alla porta, ma questa non si mosse di un millimetro. Era una porta come tante e non era blindata ma sembrava che fosse di acciaio. I poliziotti dopo aver provato a sfondarla con i calci, se ne andarono e tornarono con un ariete che non diede nessun risultato. Riprovarono con la fiamma ossidrica, ma essa non lasciava nessun segno. A quel punto, restava loro solo il plastico e tentare di farla scoppiare. Ma nemmeno in quel modo riuscirono a passare dall’altra parte. Una settimana dopo, Carl che non ne poteva più, trovò un altro appartamento e se ne andò. La polizia rinunciò a cercare di entrare e tutto fu lasciato com’era. Quel pianerottolo, era permeato di ostilità e nessuno ebbe più il coraggio di avvicinarsi. Il capo della polizia, fece allora delle ricerche per capire se quel ragazzo aveva dei parenti e scoprì che aveva solo la madre malata di Alzheimer in una struttura protetta, per cui capì il motivo per cui nessuno ne aveva denunciato la scomparsa. Decise di andare comunque a trovarla per cercare di farle capire che non avrebbe rivisto suo figlio per diverso tempo, anche se onestamente non sapeva proprio cosa fare per entrare nell’appartamento di Frank. Alla reception mostrò il tesserino e chiese della madre del ragazzo. La ragazza dietro il banco lo guardò, guardò il tesserino e gli chiese di attendere un momento, poi andò di corsa nell’ufficio della direttrice. Tornarono insieme alla reception e la signora Arlington si avvicinò al capo della polizia e gli disse senza tante presentazioni e preamboli. <<Venga con me>>. Lui la seguì senza parlare in un corridoio illuminato. Entrarono in una stanza molto carina e nel grande letto vicino alla finestra c’era una donna pallida ed emaciata che fingeva di suonare il pianoforte, cantando un motivetto.

Il capo Holson, la ascoltò un secondo cercando di ricordare dove aveva sentito quella canzone e poi d’improvviso capì. La direttrice Arlington lo guardò e gli disse. <<E’ più di una settimana che è peggiorata. Dall’essere quasi catatonica fino a qualche giorno fa, improvvisamente ha iniziato a comportarsi così. Giorno e notte. Non si calma nemmeno con gli psicofarmaci.>>. Credo che le rimanga poco ormai da vivere. Ma lei per quale motivo è venuto qui?>>. Holson, che non poteva certo rivelare i motivi, alzò le spalle. << Senta signora Arlington, ovviamente non posso rivelare nulla, mi chiami solamente se ci saranno cambiamenti la prego>>. E si congedò.

Sei mesi dopo, una bella mattina di sole, il capo Holson ricevette una telefonata. Era la direttrice della struttura dove si trovava la madre di Frank. La donna era morta la notte prima. Mentre appoggiava la cornetta, il capo Holson ebbe come una specie di illuminazione. Senza avvertire nessuno, andò all’appartamento di Frank. Il palazzo ormai era abitato solo dai barboni che si riparavano dal freddo. Arrivato davanti alla porta, non sentì nessun rumore o musica alcuna. Un uomo era seduto davanti alla porta. Guardò Holson e disse quasi dispiaciuto: << Da ieri non suona più>>. Mise la mano nel pomello della porta che si aprì come se non fosse mai stata chiusa. Appena entrato, sentì un odore terribile che gli fece venire la nausea. Allora si mise il fazzoletto davanti alla bocca ed entrò nel salotto. Il cadavere ormai decomposto di Frank, era ancora seduto al pianoforte. Le mani appoggiate ai tasti. Dal grado di decomposizione, capì che il povero ragazzo era morto almeno da sei mesi, ma aveva suonato il pianoforte ormai pieno di polvere fino al giorno prima, cioè fino a che la madre era morta. E lui era morto di stenti molto tempo prima di sicuro. Holson, si chiese come era possibile una cosa del genere. Ma decise di non indagare; pensò solamente che a volte succedono cose a cui non è possibile dare spiegazioni. L’unica cosa da fare, era dare pace a questo povero ragazzo.

Al funerale erano presenti solo la signora Arlington e Holson che diedero l’ultimo saluto, gettando sulle due bare un fiore. Restarono solo per il tempo necessario per una preghiera. Salutarono il prete e mentre si giravano per andarsene, per un solo impercettibile attimo si sentì un pianoforte suonare un motivetto.

Teresa Breviglieri

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