Gli anni 70. Rivoluzione dei garofani, Piazza della Loggia, colonnelli in Grecia. 1974 (Prima parte)

Gli anni 70. Rivoluzione dei garofani, Piazza della Loggia, colonnelli in Grecia.1974 (Prima parte)

1974

Il 14 marzo  Mariano Rumor forma il governo con la DC, il PSI, il PSD e con l’appoggio esterno dei Repubblicani.

Il 2 aprile muore, in Francia, il presidente Georges Pompidou.

Georges Pompidou e Valery Giscard d’Estaing

Valéry Giscard d’Estaing diventa il nuovo presidente della Repubblica.

18 aprile Rapimento del giudice Mario Sossi a Genova

Nel 1970 Alberto Franceschini, Renato Curcio e Mara Cagol teorizzavano un nuovo progetto politico che contemplasse la lotta armata nei confronti della politica “borghese” del Governo Italiano.

La strategia iniziale prevedeva rapimenti lampo, finché si decise per quelli di lunga durata.

“Un nucleo armato ha arrestato e rinchiuso in un carcere del popolo il famigerato Mario Sossi” Questo fu il laconico comunicato che un giornalista dell’Ansa ricevette da uno sconosciuto il 19 aprile 1974. Era il primo comunicato delle Brigate Rosse.

In effetti, la sera del 18 aprile 1974 alle 20.45, a Genova un gruppo di persone con sette auto e un furgoncino, al comando di Alberto Franceschini, rapirono il giudice Mario Sossi e lo portarono in una villa vicino a Tortona per sottoporlo ad un processo politico.

La strategia del rapimento e della prigionia diventò una delle caratteristiche peculiari delle Brigate Rosse.

Sossi era il Pubblico Ministero nel processo al gruppo della sinistra extraparlamentare XXII ottobre guidata da Mario Rossi che, nel marzo 1971, uccise il commesso portavalori Alessandro Floris che oppose resistenza durante un tentativo di furto.

Sossi durante la prigionia decise di collaborare e scrisse delle lettere chiedendo che le indagini venissero bloccate.

il giudice Mario Sossi durante la prigionia

I partiti e i mass media sollevarono parecchi dubbi sull’autenticità dell’iniziativa del giudice. Lo Stato tramite il ministro dell’Interno Taviani rifiutò, con fermezza, la trattativa per non legittimare come controparte un gruppo terroristico. Sossi, deluso dall’atteggiamento del governo, consigliato da Franceschini, si rivolse direttamente alla Magistratura chiedendo la scarcerazione di otto detenuti del gruppo XXII ottobre in cambio della propria vita. La Corte d’Appello di Genova accettò di liberare gli otto terroristi, ma mentre il 22 maggio 1974 il giudice veniva rilasciato, il Procuratore Generale della medesima Corte d’Appello, Francesco Coco, amico di Sossi, si rifiutò di controfirmare l’ordinanza presentando il ricorso in Cassazione, che lo accolse revocando la scarcerazione.

La vendetta delle BR si compì l’8 giugno del 1976 quando Francesco Coco cadde in un attentato a Genova assieme ai due uomini della scorta, Giovanni Saponara e Antioco Deiana.

Nel settembre del 1974 Franceschini e Curcio vennero arrestati a Pinerolo. Franceschini fu condannato a sessant’anni di carcere.

Nel 1982 Alberto Franceschini decise di dissociarsi dalla lotta armata, prendendone le distanze e mostrandosi pentito. Nel 1992 venne liberato definitivamente dopo aver scontato diciotto anni di reclusione.

Renato Curcio è stato scarcerato nel 1998, quattro anni prima della naturale scadenza della pena.

25 aprile 1974. La rivoluzione dei garofani

Il Portogallo sebbene fosse un paese capitalista era prostrato da una profonda crisi economica. La borghesia cercava di sfruttare le colonie rimaste, ma il polso duro e l’atteggiamento decisamente schiavista avevano fatto nascere la ribellione delle popolazioni soggiogate sfociando nelle guerriglie per la liberazione. Il Portogallo impiegava il 48% del proprio Pil nelle guerre coloniali. I giovani delle forze armate mandati a combattere lontano da casa e per una guerra ritenuta assurda, manifestavano un dissenso che spesso si trasformava in una vera e propria diserzione. Una ostilità verso il governo che si allargava come una macchia d’olio, coinvolgendo perfino gli ufficiali fino ad arrivare a toccare i gradi più alti della gerarchia militare.

Intanto l’inflazione aveva ormai raggiunto il 30% annuo. Tutte le classi sociali vennero interessate e le manifestazioni aumentarono notevolmente. Un movimento clandestino delle Forze Armate (Mfa), decise di prendere l’iniziativa, e nella notte tra il 24 e il 25 aprile, occupò la Radio di Stato, mentre un battaglione composto da carri armati e autoblindo si diresse verso il palazzo dove risiedeva il presidente Marcelo Caetano, che dal 1968 diede continuità alla dittatura del suo predecessore, Antonio de Oliveira Salazar.

I pochi militari rimasti fedeli al presidente decisero di passare dalla parte degli insorti, e solo i membri della Polizia segreta (Il Pide) accennarono una timida reazione, e mentre alcuni di loro subirono il linciaggio della gente, altri vennero arrestati dai militari.

Dopo Lisbona anche le altre città del Portogallo vennero occupate dai militari ribelli.

Rádio Renascença, la radio cattolica portoghese, trasmise la famosa canzone, proibita dal regime fascista, “Grandola Vila Morena” cantata da Josè Zeca Afonso.

Dopo quarantotto anni cadde la dittatura fascista in Portogallo, le piazze e le vie di Lisbona si riempirono di cittadini in festa che donarono garofani rossi ai militari, i quali li misero nelle canne dei fucili. Il generale Antonio Spinola accettò di presiedere la giunta militare. I conflitti che da anni affliggevano l’Angola, la Guinea, il Mozambico, Capo Verde e Timor cessarono, consentendo al ritorno in patria dei giovani militari.

La rivoluzione dei garofani in Portogallo

Rientrarono in Portogallo gli esiliati costretti a riparare all’estero dal regime fascista, come Mario Soares e Alvaro Cunhal.

Purtroppo il Mfa non fu in grado di proporre scelte politiche serie e condivise. Negli anni successivi la forte instabilità generò sei governi provvisori. I capitalisti portoghesi, con l’appoggio delle multinazionali, del governo americano e del generale Spinola organizzarono tre tentativi di colpi di Stato (due nel 1974 e uno nel 1975), per cercare di restaurare una nostalgica dittatura militare, tutti falliti.

Nel maggio del 1975 le elezioni furono vinte dalla coalizione dei socialisti con i comunisti, ma non sortirono gli effetti desiderati, anzi la loro politica anti sciopero, e le concessioni agli imprenditori favorirono la borghesia che riprese il controllo delle forze armate, e negli anni successivi fu agevolata nuovamente la privatizzazione consentendo il ritorno del capitalismo.

2 maggio 1974 il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, promulgava la legge sul finanziamento pubblico dei partiti politici. (Legge n.195)

Sarebbe imperdonabile dimenticare o ignorare l’altra faccia del potere, quella che non si vede e della quale non si parla nelle cerimonie ufficiali (stranamente neppure nella maggior parte degli scritti dei politologi). Nel’universo del potere invisibile sono nati tutti gli episodi di violenza politica che hanno sconvolto il paese, ivi compreso il più efferato, la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.”

Norberto Bobbio 1986

Il buio del mattino di martedì 28 maggio 1974 avvolgeva ancora la città e grosse nuvole scure occupavano tutto il cielo. Il netturbino svuotò il cestino porta rifiuti, e lentamente abbandonò la piazza silenziosa. Un’ombra apparve dall’oscurità e si avvicinò alla fontanella vicino ad una colonna del porticato, e con delicatezza pose un pacchetto all’interno del cestino portarifiuti, quindi, dopo un ultimo furtivo controllo, si dileguò velocemente.

Alle 8.30 le forze dell’ordine arrivarono in Piazza della Loggia a Brescia per il presidio, in vista della manifestazione di protesta, indetta dal comitato antifascista e dai sindacati, contro la recrudescenza del terrorismo di destra.

All’epoca i fascisti coinvolti beneficiavano di rinvii e ritardi con spregio della democrazia. I carabinieri si sistemarono in attesa sotto il porticato vicino alla fontanella.

Sembrava una giornata autunnale, fredda e piovosa. Il maltempo rallentò l’afflusso dei cortei che confluivano in piazza. La pioggia scendeva in maniera sostenuta e la gente sprovvista di ombrello si riparò nel porticato sotto la torre dell’Orologio.

Per evitare la promiscuità le forze dell’ordine si spostarono di una ventina di metri.

Pochi minuti dopo l’inizio del comizio, precisamente alle 10.12, mentre il sindacalista Franco Castrezzati inveiva contro l’Msi e Almirante per il silente appoggio al terrorismo nero, settecento grammi di esplosivo da mina messi nel cestino porta rifiuti deflagrarono innescati da un detonatore comandato a distanza. Chi si trovava sotto i portici venne investito dall’esplosione e scaraventato ovunque. Il fumo acre azzurro-grigio aleggiò nell’aria e lentamente si diradò, ci fu un solo attimo di silenzio, innaturale, subito rotto da grida di dolore, disperazione, paura.

Piazza della Loggia a Brescia

La scena che apparve suscitò orrore nei presenti. Corpi dilaniati e sanguinanti. Sei persone trovarono la morte subito, e altri due morirono in seguito. Ci furono anche centodue feriti, alcuni molto gravi.

Dal palco una voce esortava la gente a stare calma e a lasciare la piazza per facilitare l’arrivo dei soccorsi.

Due furgoni di celerini invasero la piazza e incominciarono a manganellare, senza ritegno, i presenti.

L’ottusità della questura di Brescia trovò ulteriore conferma nella convinzione che persino i feriti vennero sospettati di complicità con i terroristi.

L’attentato fu rivendicato contemporaneamente all’esplosione con una lettera recapitata alla redazione del “Giornale di Brescia”, dal gruppo Ordine Nero (che aveva preso il posto di Ordine Nuovo), ma le indagini vennero indirizzate dalla questura di Brescia verso gli attivisti di sinistra. La macchina del depistaggio si mise in moto immediatamente, come dopo la strage di Piazza Fontana a Milano.

Appena due ore dopo l’esplosione, il vicequestore Aniello Diamare, lasciato solo dal procuratore capo della Repubblica Dante Maiorana (che non attese neanche l’arrivo della scientifica e rientrò frettolosamente in tribunale) diede l’ordine, improvvidamente, di lavare la piazza cancellando di fatto tutte le eventuali prove e vanificando il lavoro degli inquirenti. Le indagini furono condotte in maniera superficiale e dissennata. Non si cercarono nemmeno i frammenti nei corpi delle vittime. Inchieste e depistaggi, che partirono in maniera inequivocabile dagli ambienti dei servizi segreti , s’incrociavano senza sosta, l’una intralciata dall’altra.

Si giunse comunque al 2 giugno 1979 quando i giudici della Corte d’Appello di Brescia condannarono all’ergastolo Ermanno Buzzi (strangolato in carcere nel dicembre 1981, con i lacci delle scarpe, da Mario Tuti e Pierluigi Concutelli) e a 10 anni Angelino Papa. Ma fu solo l’inizio di un calvario giudiziario che vide negli anni a seguire tre istruttorie, processi condanne e assoluzioni.

Il 14 aprile 2012, vennero assolti definitivamente gli ultimi (cronologicamente parlando) imputati: Zorzi, Maggi, Tramonte e Delfino.

Paradossalmente i parenti delle otto vittime e i feriti sopravvissuti di quella tragica mattina furono condannati (sic)) a pagare le spese processuali che nel frattempo crebbero a dismisura.

Il Presidente del Consiglio di allora, Mario Monti, decise di far assumere allo Stato questo onere.

Il 20 febbraio 2014 il sostituto pg della Cassazione Vito D’Ambrosio chiede di annullare le assoluzioni per Maggi (in quanto sarebbe esecutore e mandante del vile attentato), Zorzi e Tramonte e di celebrare un nuovo processo.

Il 20 giugno 2017 la Cassazione accoglie la richiesta del pg Alfredo Viola e conferma la condanna di ergastolo al capo di Ordine Nuovo, Carlo Maria Maggi di ottant’anni e gravemente malato, e dell’ex fonte “Trifone” dei servizi segreti, Maurizio Tramonte di sessantacinque anni. Poco dopo il verdetto Tramonte ha fatto perdere le sue tracce, ma è stato arrestato dalla polizia portoghese a Fatima.

Carlo Maria Maggi è morto il 26 dicembre 2018 a Venezia dove risiedeva. Malato da tempo per una neuropatia congenita aveva ottenuto gli arresti domiciliari.

Le vittime:

Giulietta Banzi Bazoli

Livia Bottardi in Milani

Alberto Trebeschi

Clementina Calzari Trebeschi

Euplo Natali

Luigi Pinto

Bartolomeo Talenti

Vittorio Zambarda

Forse dopo 43 anni e quattordici processi si potrà mettere fine a questa tristissima e nera pagina di violenza e dolore.

13 maggio 74. Oltre diciannove milioni di italiani dissero “no” al referendum, chiesto da Amintore Fanfani, per l’abrogazione della legge approvata nel 1970 sul divorzio.

Il 17 giugno un gruppo di brigatisti fecero irruzione nella sede padovana dell’Msi con l’intento di sottrarre dei documenti con l’apparente motivazione dimostrativa. Due brigatisti, muniti di pistole con il silenziatore, si trovarono di fronte Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola che opposero resistenza, generando la reazione violenta dei terroristi che uccisero freddamente i due militanti dell’Msi.

1974

Il giorno dopo l’azione venne rivendicata dalle BR.

Negli anni ottanta, grazie alla confessione di Susanna Ronconi, dissociata e pentita, si fece luce sull’evento criminoso. Roberto Ognibene e Fabrizio Pelli (che nel frattempo era morto nel 1979 in carcere per leucemia) furono indicati come gli autori materiali dell’azione criminale. Il 9 dicembre del 1991 al processo d’Appello Roberto Ognibene fu condannato a 18 anni di reclusione per omicidio volontario, la Ronconi e Giorgio Semeria (l’autista del commando) ebbero 12 anni, mentre per Martino Serafini (il palo del gruppo) 7 anni e 6 mesi. Furono condannati anche Alberto Franceschini a 18 anni 2 mesi e 7 giorni, Renato Curcio e Mario Moretti a 16 anni e 2 mesi.

24 luglio 1974 I sette anni di buio in Grecia

I presupposti per la nascita del regime dei colonnelli in Grecia, nacquero e si svilupparono alla fine della seconda guerra mondiale, quando, secondo gli accordi di Jalta, l’influenza politica sulla penisola greca venne assegnata per il 70% agli Stati Uniti, e il rimanente 30% ai sovietici.

Questa situazione di instabilità contribuì alle tensioni fra destra e sinistra che sfociò nella guerra civile conclusasi nel 1949, con la messa al bando del partito comunista (KKE) e con la fuga all’estero di parecchi simpatizzanti di sinistra. L’instabilità politica di quegli anni vide parecchi governi di centro succedersi fino al 1952, quando la destra prese saldamente nelle sue mani il potere fino ai primi anni sessanta. Nel 1963, infatti, Georgios Papandreu, alla testa di un schieramento di centro, vinse le elezioni, inaugurando però l’ennesimo periodo di instabilità politica, che durò fino al 1967 quando maturarono i tempi della presa di potere della destra.

Il comandante in capo dell’esercito, Georgios Spartidakis, insieme ad una decina di generali, ispirandosi al piano “Prometeo” della Nato contro le invasioni comuniste, elaborò un piano, chiamato Ierax (Falco), che prevedeva la presa di potere da parte dell’esercito, con il consenso del re Costantino.

I componenti della giunta dei colonnelli pochi giorni dopo il colpo di stato. Al centro il re Costantino II (AP Photo)

Alle 2:30 del 21 aprile 1967, i golpisti occuparono il Ministero della Difesa, il Parlamento, il Palazzo reale e, naturalmente, i centri di comunicazione. Tutte le stazioni radio furono spente tranne quella dell’esercito.

Furono arrestati migliaia di simpatizzanti comunisti. Come primo ministro fu nominato Costantine Kollias, incarico caldeggiato dal re, anche se in realtà i veri poteri furono affidati al colonnello Georgios Papadopoulos.

La lotta al temuto comunismo fu la principale giustificazione dei colonnelli nell’assumere il potere, una esigenza ritenuta essenziale per proteggere la Grecia dal pericolo comunista. Alcuni storici sostennero invece che la vera spinta propulsiva al colpo di Stato fosse il sogno nazionalista, ma anche la convinzione che i militari fossero meglio dei politici.

La giunta militare emarginò di fatto il re, che invece ambiva ad un ruolo di primo piano, tanto che lo convinse a cercare di rimuovere i militari contando sulla fedeltà delle sue truppe fedeli. Il piano però falli e Costantino fu costretto a rifugiarsi in Italia con la sua famiglia e con il primo ministro Kollias.

Il governo si trovò senza guide, ma la giunta militare provvide a nominare, in qualità di reggente, il maggiore Georgios Zoitakis, che a sua volta incaricò Papadopoulos come primo ministro.

Il regime cercò il consenso particolarmente nelle aree rurali abitate dai contadini. Sebbene in campo internazionale ci furono aspri dissensi e critiche feroci, i colonnelli ebbero il tacito appoggio degli Stati Uniti, interessati dalla strategica posizione a ridosso del blocco orientale della penisola greca, sovvenzionando la giunta con milioni di dollari.

Il dissenso non era manifestato solo dalla sinistra perseguitata, imprigionata, torturata e mandata in esilio nelle isole greche più remote e disabitate, ma anche dai nostalgici della monarchia, dalla classe media colpita dalla crisi economica e da quelli che risentivano dell’isolamento internazionale.

Tutte motivazioni che contribuirono alla nascita di parecchi gruppi politici avversi al regime. Papadoupolos nel 1972 divenne anche reggente, e poco dopo sfuggì ad un tentativo di assassinio. Venne arrestato, sospettato di essere l’autore, Alekos Panagulis che in carcere fu torturato e condannato a morte, ma il regime, temendo la reazione dei greci, sospese la condanna.

Nel 1976 Panagulis morì durante un misterioso incidente automobilistico. L’opposizione aumentò vistosamente in quegli anni, e anche personaggi pubblici o della cultura in generale manifestarono il loro crescente dissenso sia in Grecia che in ambito internazionale. Ma ci furono anche episodi eclatanti che minarono vistosamente le fondamenta della dittatura militare. Nel maggio del 1973 un cacciatorpediniere in navigazione nel mediterraneo si ammutinò e si rifiutò di rientrare in Grecia. Il 14 novembre dello stesso anno al Politecnico di Atene ci fu uno sciopero degli studenti, intervenne l’esercito con un carro armato che entrò nel cortile dell’Università, ed in seguito agli scontri morirono 24 civili.

Violente proteste, anche internazionali portarono alla rimozione di Papadopoulos da parte del generale Dimitrios Ioannides, che nel luglio 1974 ebbe la sciagurata idea di rovesciare anche l’arcivescovo Makarios III, presidente di Cipro per cercare di estendere il controllo della giunta anche sulla piccola isola mediterranea. La mossa fu violentemente osteggiata dal governo turco che occupò militarmente la parte nord dell’isola. Fu l’inizio della fine per la giunta militare.

Gran parte degli ufficiali greci decisero di non appoggiare più Ioannides per paura di un conflitto con i turchi, sperando di poter formare un nuovo governo. Nel novembre del 1974 si svolsero le elezioni che sancirono la vittoria di Konstantinos Karamanlis, rientrato dall’esilio in Francia, alla guida di uno schieramento di centro destra.

« Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Čechov, Gorki e tutti i russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in greco antico. »

Queste sono le parole finali del film: Z – L’orgia del potere di Costantin Costa-Gravas.

Il film girato nel 1969 in Algeria per ovvi motivi è tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 1966 da Vasilis Vasilikos e parla della dittatura dei Colonnelli partendo però dall’episodio dell’assassinio del deputato socialista Gregorio Lambrakis avvenuto nel 1963.

Prima parte

 

Alberto Zanini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.